Appunti pre-elettorali

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La campagna elettorale in corso si intreccia con temi che richiedono di allungare il cannocchiale della teoria, vedi il price cap del gas proposto già mesi fa dall’astuto Draghi su cui ora l’UE si sta dilaniando e le cui implicazioni evidenziano ancora una volta gli equivoci di certo ecologismo progressista. Ma è segnata anche da squillanti sondaggi che continuamente segnalano l’arrivo della piena elettorale di Giorgia Meloni. Nel polverone si intravede anche la sagoma ben nota del paese italico con i suoi opportunismi e la sua essenza capitalistica forgiata nei decenni passati e che ora fornisce la base per nuove mistificazioni. Cimentiamoci dunque in questa messa a fuoco con le poche note schematiche che seguono:

1) come insegnano i classici, il capitalismo si compone di rendita, profitti e salari. Con rendita essi intendono la rendita agraria, ma anche aria, acqua, miniere. Quindi, quello che oggi è comunemente chiamato “settore energetico”, carbone, petrolio, gas, è in realtà la rendita nella sua forma odierna di cui con la “tecnologia verde” fanno parte anche il vento, il sole e il mare;

2) la rendita non è solo estensiva (quantità o estensione di elemento sfruttato) e intensiva (tempo di lavoro e capitale investiti in un determinato elemento) ma soprattutto differenziale. Essa infatti sotto l’impulso della maggiore produzione (plusvalore) e riproduzione (incremento demografico) generate dallo sfruttamento degli elementi migra continuamente dall’elemento iniziale “migliore” all’elemento via via “peggiore”, in cui cioè la resa produttiva richiede sempre maggiore investimento di lavoro e capitale. L’esempio classico è quello del terreno vergine fertile e ben disposto, “recintato” da chi ha avuto forza e opportunità di farlo, contrapposto a quello pietroso e scosceso di chi ha dovuto acconciarsi. Se ad esempio si coltiva il grano, il suo valore si forma con riferimento a quello coltivato nel terreno peggiore poiché maggiore è la quantità di lavoro impiegata per produrlo. Come nota Ricardo, il grano non è caro perché si paga una rendita ma si paga una rendita perché il grano è caro1. Nel moderno “settore energetico” il prezzo di riferimento è quello del gas. Indipendentemente da come è prodotto – ed è prodotto materialmente estraendolo dalle viscere della terra, economicamente attraverso strumenti di speculazione finanziaria: rendita + rendita! – si può dire che il gas svolge la funzione di “terreno peggiore”;

3) il progressismo ecologico sembra non capire che la produzione energetica verde non è altro che una nuova forma di rendita che come tutte le rendite gradualmente genera una rendita differenziale. Se oggi per non deturpare il panorama si mettono le pale eoliche a venti kilometri dalla costa, la maggiore domanda di energia derivante dallo “sviluppo” indotto dallo sfruttamento del vento o di consimili elementi imporrà di metterne di nuove a venticinque e poi a trenta kilometri, in un crescendo di rendite differenziali eoliche, solari, geotermiche e quant’altro. Di per sé la “tecnologia verde” non assicura affatto il passaggio diretto “all’uguaglianza alla democrazia e alla pace”, come i progressisti ecologici, con una sintomatica convergenza con i capitalisti “verdi”, invece credono, pensando di poter fare a meno della fatica delle lotte sociali con cui si modificano i rapporti di produzione;

4) il price cap del petrolio e del gas che Mario Draghi da mesi sta cercando di imporre all’Unione Europea è capitalisticamente la mossa giusta. Il problema però è che Draghi, almeno nella sua proposta originaria, intende realizzare il price cap non coalizzando in generale i compratori contro i venditori bensì gli europei contro Putin. Esce dunque fuori dal terreno delle leggi economiche capitalistiche e muove guerra alla Russia con i cannoni dell’economia. Questa natura anfibia dell’idea dell’ex governatore della BCE non meraviglia. Infatti, durante il suo mandato di governatore, ma ancor più quale Presidente del consiglio, egli si è rivelato come l’alfiere più convinto della concezione secondo la quale la BCE, quale metafora bancaria dell’antica potenza militare europea che per ben note ragioni storiche non può essere più perseguita con gli eserciti, deve fare dell’Europa l’armata bancaria dell’Occidente, coordinata con l’armata reale ma anche economica e finanziaria degli Stati Uniti. Un gigantesco esercito  la cui ideologia è l’atlantismo e di cui lui si ritiene ed è considerato dai circoli di potere euro-americani fra i più eminenti strateghi

5) di questo esercito che non ammette indisciplina, l’Italia fa parte quale paese capitalistico che vive comprimendo il mercato interno (salari) per realizzare nel mercato estero il plusvalore (profitti) in catene produttive splendidamente subalterne, dalla meccanica di precisione alla moda al mobilio di design ai cavallini rampanti agli yacht per i magnati dell’Est e dell’Ovest. Recentemente, uno di questi campioni dell’Italia esportadora ha dichiarato che le elezioni del 25 settembre sono «irrilevanti nel contesto mondiale». Infatti, le imprese sono «lontanissime dalle tematiche elettorali italiane e vicinissime a quelle della vita reale dei dipendenti: l’inflazione, il costo delle materie prime». E ha concluso: «siamo controllati da Bruxelles. È come avere il due di spade quando la briscola è denari. Mi interessano di più le elezioni di midterm americane, mi interessa vedere cosa fanno i tedeschi»2. Ecco, capitalisticamente parlando l’Italia è un paese senza patria e senza nazione che i Fratelli d’Italia si propongono di rendere alla patria e alla nazione. Lodevole intento. Non è la prima volta che i fascisti tentano di raddrizzare il legno storto italico. Patria e nazione furono le parole con cui chiusero il Parlamento, imprigionarono gli avversari, vararono il corporativismo e lastricarono il cammino verso il baratro della Seconda guerra mondiale. Ma rinfacciar loro questo passato remoto non serve a niente, perché attuale è invece il loro passato prossimo su cui stanno costruendo il loro futuro. Essi sono infatti gli eredi orgogliosi dei neofascisti del Movimento Sociale Italiano, verniciatura legalitaria di un pulviscolo di soggetti e movimenti in feroce ancorché cameratesca competizione fra loro che nei decenni della “guerra fredda” assicurarono i bassi servizi della “strategia della tensione” di cui sotto le ali dell’atlantismo si nutrì la “lotta per la libertà”;

6) paradossalmente, la sovranità nazionale dell’Italia è oggi molto più limitata che ai tempi della “guerra fredda”. L’antifascismo storico non ha più mordente e quello nuovo non può essere professato perché richiederebbe il disvelamento dei misfatti dell’atlantismo che invece controlla tutti i meccanismi del “dicibile” e del “credibile”, dagli archivi al discorso dominante dei media. Fra gli applausi degli apparati i reggicoda di un tempo vengono così elevati al livello di coloro che di essi si servirono per edificare il potere di cui oggi ancora godono. Da Portella della Ginestra a Piazza Fontana all’Italicus alla Stazione di Bologna, è la grande pacificazione a spese della verità storica e della giustizia per chi ci ha lasciato la pelle. Al di là delle combinazioni parlamentari e dei ruoli di governo, questo è il fondamento indicibile della vera maggioranza politica che già in questi mesi ha fatto le sue prove e che si prospetta per il dopo voto, ovvero l’accoppiata Partito Democratico-Fratelli d’Italia, il primo garante del passato e del presente, i secondi del futuro.

7) Ma le incognite non mancano. Quanto reggerà il produttivismo italico, che Salvini stenta sempre più a rappresentare, nella parte di gregge da tosare per mantenere i sogni di gloria di un’élite politica “democratica” oggi, “conservatrice” domani, padrona in patria per mandato estero? Quanto reggerà l’atlantismo i cui tempi del consenso facile sembrano finiti e che oggi si impone più come dominio che come egemonia? Sulla spinta di quel mondo economico scontento e della debolezza dei vecchi circoli euro-americani non saranno gli stessi Fratelli d’Italia tentati di “sovranizzare la nazione” chiudendo il cerchio dell’onore perduto con la sconfitta in guerra del fascismo storico? Sarà l’inizio di un nuovo, lungo dominio in un mondo tempestoso in cui ciascuno si rinchiude nel suo “mondo a parte”, oppure si tratterà del passo falso che facendo crollare il vecchio mondo, oggi disposto pur di sopravvivere ad ammettere i servi nelle stanze buone, ne mostrerà la falsità e renderà dicibile e credibile ciò che oggi appare solo fantasiosa congettura “complottarda”? Ah, se in tutto questo la sinistra, i cui frantumi si propongono in queste elezioni la titanica meta del diritto di tribuna, si risvegliasse…

 

  1. D. Ricardo, Principi di economia politica e dell’imposta (1817), trad. it. UTET, Torino 1986, p. 229. []
  2. Boom di ordini estivi: la crisi non ferma i super yacht di Ferretti, «Il Giornale», 7 settembre 2022, p. 17. []