Archive for duemilaventi

Grazie, Silvio

Download PDF

Sgombrando via tutta la spazzatura accumulatasi nei giorni successivi alla morte di Berlusconi, restano vivi due quadri superstiti che possono essere collegati l’uno all’altro. Il primo è un editoriale di Paolo Mieli sul Corriere del 14 giugno 2023 che, dopo aver spiegato che il lascito duraturo di Berlusconi è l’invenzione di un centro-destra che presentandosi alle urne conquista la maggioranza parlamentare, invita la sinistra a adeguarsi a tale schema da cui non si potrà prescindere, soprattutto ora che il suo inventore non c’è più, sino a quando sarà in vigore, forse per sempre, aggiunge Mieli, una legge elettorale maggioritaria. Il ragionamento fila, solo che nella sua ricostruzione storica Mieli dimentica di aggiungere che la sinistra in passato non ha mancato di adeguarsi a tale schema, tanto è vero che con Prodi due volte è riuscita ad agguantare la maggioranza parlamentare, ma in entrambi i casi alla prova di governo è andata in frantumi. Lo schema maggioritario astrattamente, dunque, è da preferirsi al pastrocchio proporzionale, ma esso presuppone un chiarimento culturale preliminare che non è alle viste anzitutto nel corpo elettorale. E qui veniamo al secondo quadro superstite svoltosi a Milano, in piazza Duomo, dove mentre si svolgevano i funerali di Berlusconi si è presentata una signora con una maglietta con su scritto “Io non sono in lutto”.  La signora stava spiegando a una televisione che la riprendeva i motivi del suo gesto quando si è avvicinato un fedele del morto che ha cominciato a rimproverarla, attirando così l’attenzione di altri sino a quando si è formato un gruppo numeroso di correligionari che ha preso a insultarla. Fra tutti la telecamera insisteva su un tizio che il buon Manzoni nel suo Seicento metaforico avrebbe senz’altro raffigurato nel popolo lavoratore e che oggi classificheremmo nel nuovo proletariato diffuso. Ebbene, costui, a gran voce invitava la signora a riflettere su quanto bene aveva fatto Berlusconi, quanti posti di lavoro aveva creato, quante persone aveva “mantenuto”. Ecco, questa è la parola chiave. Per questo popolano del Seicento manzoniano proiettato nel proletariato diffuso di inizio millennio il capitalista che paga un salario non “sfrutta” ma “mantiene” una persona. Ora, ci può essere la più bella legge elettorale maggioritaria del mondo, ma sino a quando persisteranno nell’elettorato potenziale della sinistra errori di pensiero di quel genere, sapientemente coltivati dalla cultura televisiva propalata da Berlusconi ben prima della sua “discesa in campo”, l’eventuale maggioranza conquistata nelle urne servirà solo a mandare al governo una sinistra opportunista che farà una politica di destra solo un po’ meno maleducata. Questo per dire che i ragionamenti di Mieli e di quelli che la pensano come lui sono formalistici, nel migliore dei casi, perché si fondano su etichette ingannevoli. Che cosa accadrebbe se alle elezioni svoltesi con un maggioritario conquistasse la maggioranza una sinistra che pensa che un capitalista quando paga un salario non “mantiene” ma “sfrutta” il lavoratore? Il minimo è che ripartirebbe la stagione delle bombe, come del resto accadde fra il ‘92 e il ’94 quando, nonostante l’alacre opera distruttiva di Occhetto e compagni, sussisteva ancora una sinistra (e non era certo quella che si riconosceva in Bertinotti von Cachemire) che pensava che pagare un salario era non un’opera di bene della compagnia delle brave dame di San Vincenzo ma uno “sfruttamento” nel senso tecnico fissato in Das Kapital. Non a caso il cardinal Ruini, in morte del de cuius, ha detto che il suo maggior merito è di aver fermato i comunisti nel 1994. Certamente, monsignore, lei ha ragione e ognuno ci ha messo del suo, lei l’acqua benedetta, altri la polvere da sparo. Quindi, quello che deve fare la sinistra è innanzitutto chiarirsi le idee, perché come insegna Berlusconi per andare al governo bisogna essere prima dirigenti e poi dominanti. Beh, veramente l’aveva detto Gramsci, ma Berlusconi con le sue televisioni l’ha messo in pratica. Grazie, Silvio.

P.S. Ora qualche sapientone salterà su a spiegare che la teoria dello sfruttamento è una tra le tante teorie economiche e neppure la più affidabile ecc. ecc. Questi discorsi sono i moderni canti flautati delle sirene che vivevano numerose a Scilla e quindi bisogna fare come Odisseo, legarsi all’albero della nave e cera nelle orecchie per chi sta ai remi. L’unica verità è data dalla nave che avanza. E, come spiega Omero, se non avanza non è perché la teoria è falsa ma perché i marinai non la sanno governare.

Il puntiglio della verità

Download PDF

Nella serata di lunedì 2 gennaio, su Rai Tre, è andata in onda ad opera della trasmissione “Report” una lunghissima ricostruzione delle stragi del biennio 1992-1993, quelle in cui, assieme ad altre decine di persone, persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino e furono attaccate chiese e monumenti in varie parti d’Italia. Il motivo di tale ricostruzione è che stanno emergendo nuovi elementi giudiziari a favore dell’ipotesi che individui che presero parte a tali attentati si ritrovano nella precedente stagione stragista e golpista degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. In particolare, una delle figure di collegamento più importanti sarebbe Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, organizzazione neofascista sciolta e più volte risorta dalle sue ceneri come l’araba fenice, operativa pare addirittura sino a tutto il 2018. Stefano Delle Chiaie, passato a miglior vita nel 2019, proviene da quel mondo missino che secondo gli odierni esponenti del movimento smargiasso insediatosi al governo della Nazione avrebbe contribuito all’inserimento degli sconfitti del fascismo nel gioco della rinata democrazia. Si tratta di una affermazione che nel suo cinismo politico, tipico di questo abile manipolo di manipolatori, ha un suo fondamento storico. La Fiamma, infatti, quale dialettica copertura legale di un vasto ambiente illegale – e stiamo parlando di legalità “borghese”, ma evidentemente in determinate situazioni storiche a Monsieur le Capital non basta neppure quella per averla vinta! –, ha contribuito fortemente a far sì che la democrazia italiana si allontanasse quanto più è possibile dall’improvvido disegno costituzionale per assumere quella fisionomia anfibia di doppio Stato non solo consono all’intima essenza nazionale, ma soprattutto funzionale agli equilibri internazionali in cui l’Italia, grazie al ben operare dei nazionalisti in orbace figli della Lupa, dal 1945 si trova felicemente inserita, scilicet asservita. La domanda però non è storica ma urgentemente attuale, e cioè come mai, nel momento in cui lo strato più recondito e ambiguo dell’anticomunismo atlantista comincia a muovere i suoi primi passi di governo, una trasmissione come “Report” possa ripercorrere le stagioni dello stragismo politico in cui tale strato, a voler stare alle sole evidenze giudiziarie, appare profondamente invischiato. Evidentemente, ci sono mondi che si guatano a distanza e, come nel gioco di chi sa che io so che tu sai che io so, si mandano segnali, si lanciano avvertimenti, si misurano la forza. La partita insomma non è chiusa. E, del resto, lo si era capito quando, durante il caos della presidenza Trump, settori importanti del carico della nave erano stati spostati in direzioni inusitate – la Cina, la Russia. Bisogna dirlo, in modo abborracciato, con immaturità, senza alcuna chiara elaborazione politica. Sicché, quando sia pur a fatica il blocco imperiale ha ripreso il controllo, come accade sempre nelle epoche di basso impero è stato facile per i pretoriani della Nazione proporsi quale nuovo ceto di governo. È altrettanto facile prevedere che quanto più aumenteranno le spinte per un sovvertimento presidenzialistico della Costituzione vigente, tanto più si moltiplicheranno questi segnali. E quanto più gli equilibri internazionali si mostreranno deboli e friabili, tanto più il confronto tra questi mondi contrapposti diventerà una lotta accanita per la sopravvivenza. Poiché appare chiaro che il significato effettivo di una possibile riforma presidenzialistica, almeno per quanto riguarda il passato, è la definitiva messa a tacere di una storia inconfessabile, quella per la quale l’ipotesi di una timida, socialdemocratica “repubblica fondata sul lavoro” è stata impedita dalla brutale realtà di una “repubblica basata sulle bombe”. Del resto, già da tempo la Bombocrazia mette in scena nelle più alte cariche le sue tragedie shakespeariane. A favorire l’elezione dell’attuale Presidente della Repubblica fu un certo senatore fiorentino, promotore dell’ultimo sfortunato assalto costituzionale, sulla cui eccellenza nelle arti politiche della corrotta Danimarca, messe al servizio del più devoto atlantismo, non c’è bisogno di spendere altre parole. E oggi, l’attuale Presidente, che in una famosa foto appare mentre prende fra le braccia il fratello ferito a morte nell’attentato opera, a quanto sembra, dell’usuale connection tra mafia, apparati di stato e neofascismo, oggi dicevamo a quel mondo predica come Francesco al lupo di Gubbio la mitezza della Costituzione vigente, suggerendo così oggettivamente l’idea che un’alta carica è forse la migliore pietra tombale sulle esigenze di giustizia. Ma nel paese della commedia dell’arte alle tragedie shakespeariane fanno da contrappunto le baruffe chiozzotte, alla sfocata, drammatica foto del fratello che trae fuori dall’auto il congiunto ucciso dall’ignoto assassino dagli occhi di ghiaccio fa da controcanto la più recente foto “social” delle vestali del rampante movimento smargiasso che, agghindate per il cenone di fine anno, con molle posa fanno gli auguri «anche ai rosiconi che non si ricrederanno mai per puntiglio». Eh, già, perché la verità è un puntiglio…

Basta non disturbare

Download PDF

Parlando alla Coldiretti, la sezione agraria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha affermato che «lo Stato non deve disturbare chi vuole produrre ricchezza»1. Il fine concetto era in sé già chiaro, ma a rincalzo è intervenuto sul Corriere il giurista Francesco Saverio Marini spiegando che il presidenzialismo è la ricetta giusta per porre fine all’instabilità dei governi che «sfavorisce il Paese dal punto di vista economico»2. Marini è in linea, ma deve ripulire il suo lessico. Non si dice Paese ma Nazione. Come ha chiarito Giorgia, infatti, «la ricchezza in questa Nazione la fanno le aziende con i loro lavoratori»3. Meloni ha fatto bene a evocare i lavoratori. Essi, infatti, una volta appoggiavano l’Esperimento marxista, come lo chiama con notevole estro epistemologico monsignor Suetta, vescovo di Sanremo; ora invece lavorano per la Nazione, ovvero per l’umanesimo cristiano: «interpreto il successo del partito Fratelli d’Italia non come un voto di protesta ma come un risveglio capace di riscoprire i valori autentici su cui fondare la vita dell’uomo e la società»4. Valori autentici si attaglia bene con il concetto di ricchezza ma, Monsignore, bastava solo il singolare, valore, e tutti avremmo capito che Lei si riferiva a quella sostanza immateriale che i lavoratori secernono quando vanno in azienda in cambio di un salario. Lei, esimio Presule, giustamente rileva come ultimamente la sinistra ha trascurato questi operosi alveari e per questo «l’interrogativo si fa stringente: con quali contenuti possiamo colmare il vuoto spirituale, creatosi con il fallimento dell’Esperimento marxista?»5. Francamente, non lo sappiamo, ma è confortante constatare che Lei pensi che il fallimento dell’Esperimento marxista abbia a che fare con lo spirito. Converrà che il Cristianesimo da duemila anni si propone di riempire questo vuoto, ma ci riesce solo con la ricchezza della Nazione che sta tanto a cuore ai Fratelli d’Italia al punto da indurli a intimare l’alt, chi va là, al loro totem, lo Stato. Come vede, Monsignore, ci sono degli slittamenti concettuali non da poco, ma sicuramente Giorgia saprà porvi rimedio. Basta non disturbare.

 

 

  1. https://www.agi.it/politica/news/2022-10-01/non-disturbare-chi-vuole-lavorare-produrre-ricchezza-prima-uscita-pubblica-meloni-18284652/ []
  2. «Alla Carta serve una revisione. La sovranità dello Stato deve essere un principio supremo» Il giurista Marini: bene il presidenzialismo se con correttivi, «Corriere della sera», 3 ottobre 2022, p. 9 []
  3. https://www.agi.it/politica/news/2022-10-01/non-disturbare-chi-vuole-lavorare-produrre-ricchezza-prima-uscita-pubblica-meloni-18284652/ []
  4. Con Giorgia ha vinto l’umanesimo cristiano, «Libero», 3 ottobre 2022, p. 4 []
  5. Ibidem []

L’obbligo dell’inattualità

Download PDF

In questo sito non vige l’obbligo dell’attualità, anzi, ma un commento immediato ancorché brevissimo si impone sulla vittoria di Fratelli d’Italia, scontata ma non certo riducibile all’ordinario tran-tran elettorale della scassata democrazia parlamentare italica. Cosa sono quelli di Fratelli d’Italia, fascisti, neofascisti, postfascisti? E quanti, e per quali motivi, si sono uniti a loro senza essere fascisti, neofascisti o postfascisti? Comunque sia, li vedremo presto all’opera e troveremo un termine adatto per le loro gesta. Ma qui e ora vogliamo occuparci della sinistra. Come se nulla fosse, si continua a parlare di cambio di segreteria del PD, di prossimo congresso, di candidati che si propongono, ma per fare che? È tutta la sinistra ridotta negli ultimi decenni alla vacua opposizione tra sinistra riformista e sinistra radicale che va sbaraccata. Il PD è un tappo che va subito rimosso e, alla luce del miserrimo risultato di Unione popolare e dell’inutile diritto di tribuna acquisito dai rimasugli dell’opportunismo vendoliano, la sinistra tutta va ricreata su una chiara pregiudiziale anticapitalistica. E del resto questo è l’unico modo per smascherare la falsa sinistra delle mance e mancette messa su dagli insulsi politicanti del M5S. Non è più tempo di congressi di bonzi che gestiscono potere per conto del “gruppetto” capitalistico che succhia plusvalore. Il riformismo ha fallito, passi la mano alla sinistra rivoluzionaria. Per mancanza di materia prima – dove sono infatti i quadri politici e intellettuali immediatamente operativi di questa sinistra rivoluzionaria? – non sarà affatto facile concretizzare questa alternanza, ma è l’unica che rispetta la storia della sinistra e che le può assicurare una prospettiva futura. Una prospettiva di cui – a questo ci si è ridotti, a farselo spiegare dal Papa gesuita venuto dalla fine del mondo – ha bisogno l’intera società.

Appunti pre-elettorali

Download PDF

La campagna elettorale in corso si intreccia con temi che richiedono di allungare il cannocchiale della teoria, vedi il price cap del gas proposto già mesi fa dall’astuto Draghi su cui ora l’UE si sta dilaniando e le cui implicazioni evidenziano ancora una volta gli equivoci di certo ecologismo progressista. Ma è segnata anche da squillanti sondaggi che continuamente segnalano l’arrivo della piena elettorale di Giorgia Meloni. Nel polverone si intravede anche la sagoma ben nota del paese italico con i suoi opportunismi e la sua essenza capitalistica forgiata nei decenni passati e che ora fornisce la base per nuove mistificazioni. Cimentiamoci dunque in questa messa a fuoco con le poche note schematiche che seguono:

1) come insegnano i classici, il capitalismo si compone di rendita, profitti e salari. Con rendita essi intendono la rendita agraria, ma anche aria, acqua, miniere. Quindi, quello che oggi è comunemente chiamato “settore energetico”, carbone, petrolio, gas, è in realtà la rendita nella sua forma odierna di cui con la “tecnologia verde” fanno parte anche il vento, il sole e il mare;

2) la rendita non è solo estensiva (quantità o estensione di elemento sfruttato) e intensiva (tempo di lavoro e capitale investiti in un determinato elemento) ma soprattutto differenziale. Essa infatti sotto l’impulso della maggiore produzione (plusvalore) e riproduzione (incremento demografico) generate dallo sfruttamento degli elementi migra continuamente dall’elemento iniziale “migliore” all’elemento via via “peggiore”, in cui cioè la resa produttiva richiede sempre maggiore investimento di lavoro e capitale. L’esempio classico è quello del terreno vergine fertile e ben disposto, “recintato” da chi ha avuto forza e opportunità di farlo, contrapposto a quello pietroso e scosceso di chi ha dovuto acconciarsi. Se ad esempio si coltiva il grano, il suo valore si forma con riferimento a quello coltivato nel terreno peggiore poiché maggiore è la quantità di lavoro impiegata per produrlo. Come nota Ricardo, il grano non è caro perché si paga una rendita ma si paga una rendita perché il grano è caro1. Nel moderno “settore energetico” il prezzo di riferimento è quello del gas. Indipendentemente da come è prodotto – ed è prodotto materialmente estraendolo dalle viscere della terra, economicamente attraverso strumenti di speculazione finanziaria: rendita + rendita! – si può dire che il gas svolge la funzione di “terreno peggiore”;

3) il progressismo ecologico sembra non capire che la produzione energetica verde non è altro che una nuova forma di rendita che come tutte le rendite gradualmente genera una rendita differenziale. Se oggi per non deturpare il panorama si mettono le pale eoliche a venti kilometri dalla costa, la maggiore domanda di energia derivante dallo “sviluppo” indotto dallo sfruttamento del vento o di consimili elementi imporrà di metterne di nuove a venticinque e poi a trenta kilometri, in un crescendo di rendite differenziali eoliche, solari, geotermiche e quant’altro. Di per sé la “tecnologia verde” non assicura affatto il passaggio diretto “all’uguaglianza alla democrazia e alla pace”, come i progressisti ecologici, con una sintomatica convergenza con i capitalisti “verdi”, invece credono, pensando di poter fare a meno della fatica delle lotte sociali con cui si modificano i rapporti di produzione;

4) il price cap del petrolio e del gas che Mario Draghi da mesi sta cercando di imporre all’Unione Europea è capitalisticamente la mossa giusta. Il problema però è che Draghi, almeno nella sua proposta originaria, intende realizzare il price cap non coalizzando in generale i compratori contro i venditori bensì gli europei contro Putin. Esce dunque fuori dal terreno delle leggi economiche capitalistiche e muove guerra alla Russia con i cannoni dell’economia. Questa natura anfibia dell’idea dell’ex governatore della BCE non meraviglia. Infatti, durante il suo mandato di governatore, ma ancor più quale Presidente del consiglio, egli si è rivelato come l’alfiere più convinto della concezione secondo la quale la BCE, quale metafora bancaria dell’antica potenza militare europea che per ben note ragioni storiche non può essere più perseguita con gli eserciti, deve fare dell’Europa l’armata bancaria dell’Occidente, coordinata con l’armata reale ma anche economica e finanziaria degli Stati Uniti. Un gigantesco esercito  la cui ideologia è l’atlantismo e di cui lui si ritiene ed è considerato dai circoli di potere euro-americani fra i più eminenti strateghi

5) di questo esercito che non ammette indisciplina, l’Italia fa parte quale paese capitalistico che vive comprimendo il mercato interno (salari) per realizzare nel mercato estero il plusvalore (profitti) in catene produttive splendidamente subalterne, dalla meccanica di precisione alla moda al mobilio di design ai cavallini rampanti agli yacht per i magnati dell’Est e dell’Ovest. Recentemente, uno di questi campioni dell’Italia esportadora ha dichiarato che le elezioni del 25 settembre sono «irrilevanti nel contesto mondiale». Infatti, le imprese sono «lontanissime dalle tematiche elettorali italiane e vicinissime a quelle della vita reale dei dipendenti: l’inflazione, il costo delle materie prime». E ha concluso: «siamo controllati da Bruxelles. È come avere il due di spade quando la briscola è denari. Mi interessano di più le elezioni di midterm americane, mi interessa vedere cosa fanno i tedeschi»2. Ecco, capitalisticamente parlando l’Italia è un paese senza patria e senza nazione che i Fratelli d’Italia si propongono di rendere alla patria e alla nazione. Lodevole intento. Non è la prima volta che i fascisti tentano di raddrizzare il legno storto italico. Patria e nazione furono le parole con cui chiusero il Parlamento, imprigionarono gli avversari, vararono il corporativismo e lastricarono il cammino verso il baratro della Seconda guerra mondiale. Ma rinfacciar loro questo passato remoto non serve a niente, perché attuale è invece il loro passato prossimo su cui stanno costruendo il loro futuro. Essi sono infatti gli eredi orgogliosi dei neofascisti del Movimento Sociale Italiano, verniciatura legalitaria di un pulviscolo di soggetti e movimenti in feroce ancorché cameratesca competizione fra loro che nei decenni della “guerra fredda” assicurarono i bassi servizi della “strategia della tensione” di cui sotto le ali dell’atlantismo si nutrì la “lotta per la libertà”;

6) paradossalmente, la sovranità nazionale dell’Italia è oggi molto più limitata che ai tempi della “guerra fredda”. L’antifascismo storico non ha più mordente e quello nuovo non può essere professato perché richiederebbe il disvelamento dei misfatti dell’atlantismo che invece controlla tutti i meccanismi del “dicibile” e del “credibile”, dagli archivi al discorso dominante dei media. Fra gli applausi degli apparati i reggicoda di un tempo vengono così elevati al livello di coloro che di essi si servirono per edificare il potere di cui oggi ancora godono. Da Portella della Ginestra a Piazza Fontana all’Italicus alla Stazione di Bologna, è la grande pacificazione a spese della verità storica e della giustizia per chi ci ha lasciato la pelle. Al di là delle combinazioni parlamentari e dei ruoli di governo, questo è il fondamento indicibile della vera maggioranza politica che già in questi mesi ha fatto le sue prove e che si prospetta per il dopo voto, ovvero l’accoppiata Partito Democratico-Fratelli d’Italia, il primo garante del passato e del presente, i secondi del futuro.

7) Ma le incognite non mancano. Quanto reggerà il produttivismo italico, che Salvini stenta sempre più a rappresentare, nella parte di gregge da tosare per mantenere i sogni di gloria di un’élite politica “democratica” oggi, “conservatrice” domani, padrona in patria per mandato estero? Quanto reggerà l’atlantismo i cui tempi del consenso facile sembrano finiti e che oggi si impone più come dominio che come egemonia? Sulla spinta di quel mondo economico scontento e della debolezza dei vecchi circoli euro-americani non saranno gli stessi Fratelli d’Italia tentati di “sovranizzare la nazione” chiudendo il cerchio dell’onore perduto con la sconfitta in guerra del fascismo storico? Sarà l’inizio di un nuovo, lungo dominio in un mondo tempestoso in cui ciascuno si rinchiude nel suo “mondo a parte”, oppure si tratterà del passo falso che facendo crollare il vecchio mondo, oggi disposto pur di sopravvivere ad ammettere i servi nelle stanze buone, ne mostrerà la falsità e renderà dicibile e credibile ciò che oggi appare solo fantasiosa congettura “complottarda”? Ah, se in tutto questo la sinistra, i cui frantumi si propongono in queste elezioni la titanica meta del diritto di tribuna, si risvegliasse…

 

  1. D. Ricardo, Principi di economia politica e dell’imposta (1817), trad. it. UTET, Torino 1986, p. 229. []
  2. Boom di ordini estivi: la crisi non ferma i super yacht di Ferretti, «Il Giornale», 7 settembre 2022, p. 17. []