Basso impero e lotte ideologiche

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A Roma, nel secondo secolo d.C., il cesarismo, che aveva stabilizzato la crisi della Repubblica, fu attinto da intense convulsioni. Gli imperatori, che spesso alla stravaganza e alla crudeltà univano origini umili o addirittura barbare, si succedevano nel giro di pochi anni, addirittura di pochi giorni, eletti dalla massa dei soldati, in odio al Senato e all’ozioso popolo romano. Il fisco era sempre più oppressivo, perché i donativi con cui gli Augusti si ingraziavano i soldati, imponevano requisizioni sempre più grandi e arbitrarie. Non era solo una lotta di potere, anzi, quest’ultima era il riflesso di una più generale lotta di classe in cui i contadini delle province, coscritti nell’esercito, la più grande fabbrica produttiva del tempo, combattevano contro la sempre più sproporzionata ricchezza dei privati, fossero essi aristocratici o nuovi ricchi. Questi spasmi politici e sociali di una società che galleggiava sull’immenso sottosuolo schiavile, avvenivano però sulla superfice di più lente ma profonde trasformazioni ideologiche. Il placido paganesimo era sempre più infiltrato dai culti misterici, dal misticismo orgiastico, dal furore religioso. Un’attesa di rinascita spirituale, nutrita sia dalla speranza del popolo, che dall’angoscia delle classi alte, segnava quei tempi. Gli imperatori tenevano nelle loro stanze, accanto ad effigi pagane, quella di Gesù Cristo, e venne un tempo in cui le statue degli antichi culti venivano tolte e rimesse nei templi, a seconda dell’andamento della lotta ideologica, finché il Cristianesimo, da questa lunga competizione con le altre religioni rivali, non emerse vittorioso.

Il basso impero romano presenta molte somiglianze con l’epoca contemporanea: volatilità del potere, bizzarria dei governanti, distorsione delle lotte di classe, rapacità del fisco, competizione tra nuove potenze ideologiche, sullo sfondo delle vecchie religioni. Probabilmente ciò è dovuto, più che ad un astratto andamento ciclico della storia, ai tanti fili che connettono la formazione antica greco-romana alla formazione moderna europeo-occidentale, impostasi ormai al mondo intero. Ma non è ciò che qui importa. Ciò che importa, è che il prisma della competizione ideologica permette di scorgere cos’è effettivamente la globalizzazione, e cioè il sistema imperialistico mondiale, al cui vertice sta, in posizione da ultimo assai precaria, l’imperialismo yankee. A lungo, l’ideologia unificatrice di tale sistema è stata quella laicistica dei diritti, ma dalle spinte e controspinte delle altre potenze ideologiche, più di recente sono riemersi i blocchi gerarchici e i conflitti al loro interno per la spartizione del potere e del mercato mondiali. In questi conflitti, ciascuna di quelle potenze ideologiche affina il proprio profilo, che consente di coglierne forza e contraddizioni. Così, ad esempio, confucianismo cinese e sovranismo russo-ortodosso, ovvero eurasismo, attualmente convergono in funzione anti-americana, ma a lungo andare il contrasto tra di essi potrebbe riesplodere, perché la Russia è economicamente molto più debole. Rispetto a tali potenze, il confucianismo, l’islamismo, il sovranismo cristiano-ortodosso, i movimenti neo-evangelizzatori, il nazionalismo induista, ecc., si staglia come cosa a sé il socialismo, in quanto svolgimento interno della moderna ragione laica, che ha fatto le sue prove storiche nelle rivoluzioni del 1789 e del 1917. È una fortuna che il socialismo si sia svincolato dal destino di un singolo stato, come fu nel Novecento con l’Unione Sovietica. Esso può così riprendere il suo slancio corrosivo nella competizione con le altre potenze ideologiche, incapaci di assumere sino in fondo la terrestrità della condizione umana, sempre pronte invece a sublimarla o in una ingannevole realtà celeste, o in una immanenza ciecamente strumentale. Così come nel basso impero romano nessuna predestinazione assegnava la vittoria al cristianesimo nella competizione con le altre religioni, altrettanto nella modernità europeo-occidentale, ormai mondiale, niente garantisce il predominio finale del socialismo. Esso raccoglie e fa intravvedere con i suoi schemi analitici le tendenze delle forze produttive e dei rapporti di produzione, la cui unificazione ideologica sotto le proprie insegne dipende però dall’attiva lotta di chi ad esso si richiama intellettualmente e praticamente. La sua superiorità scientifica è lettera morta se non è vivificata dalla scelta di adattarsi alla realtà nel suo farsi, per assimilarne gli elementi da portare ad un compiuto equilibrio storico.