La trattativa

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L’imminente elezione del Presidente della Repubblica, per le speciali circostanze in cui si sta per celebrare, richiede un ripasso della natura dello Stato in Italia. Lo Stato italiano è una democrazia parlamentare retta da una Costituzione antifascista all’interno del quale sin da subito si è installato uno Stato occulto anticomunista. L’anticomunismo ha avuto la sua base nella teoria socio-economica della modernizzazione portata avanti lungo tutta la cosiddetta Prima Repubblica e, sin dalla strage in Sicilia di Portella della Ginestra, nel 1947, aveva come corollario politico la strategia della tensione come strumento di stabilizzazione repressiva rispetto a domande di emancipazione dal basso. Un momento di svolta di tale assetto fu il 1992, in cui sotto i colpi di Tangentopoli la teoria della modernizzazione fu sostituita dalle privatizzazioni. Mentre nella modernizzazione, che pure implicava il mantenimento del divario tra Nord e Sud, era consentito un certo trasferimento di risorse verso il Sud, con le privatizzazioni il Sud è destinato a essere completamente abbandonato a se stesso e il Nord si integra sempre più in un’area esportadora sub-germanica. Si passa dal capitalismo clientelare o di Stato al liberismo dei parametri di Maastricht incardinato nella incipiente Unione Europea. Naturalmente ciò non avviene meccanicamente ma comporta anzi un violento scontro fra le diverse fazioni riunite nello Stato anticomunista occulto. Qui se ne possono schematicamente indicare due, l’élite che fonda il suo nuovo potere anticipando i diktat che provengono dal nuovo potere sovra-statuale eurocratico, e una frazione più numerosa, chiassosa e “provinciale” che intende continuare a praticare il capitalismo clientelare, non sino al punto però da essere emarginati dal nuovo gioco euro-atlantico globale. La “trattativa” che i giudici indagano da anni con i loro scarni strumenti giudiziari, e forse anche con una certa dose di paranoia politica, non è il rapporto illecito tra lo Stato e l’Anti-Stato, ma la lotta tra le diverse fazioni dello Stato anticomunista occulto, in particolare quelle che sommariamente abbiamo sopra descritto. Il precario equilibrio sorto da tale scontro e puntellato presumibilmente in modo indipendente dalla sovrastruttura pubblicitario-televisiva, tra dismissioni dell’immenso apparato economico creato durante il periodo della modernizzazione e mance più o meno generose a un Sud sempre più depresso e derelitto, è sopravvissuto alla crisi economico-finanziaria del 2008 sbalzando di sella la frazione “provinciale” o simil-sovrana scelta da un corpo elettorale ristretto in un bipolarismo artificioso, e portando al governo, grazie ai buoni servigi di una sinistra completamente subalterna alle logiche sin qui descritte, l’élite degli “introiezionisti”, di coloro cioè che derivano la loro legittimità nazionale dall’introiezione del comando prima che esso venga imposto da forze esterne. Non siamo mica la Grecia! Sulla nave che aveva preso ad andare è impattata nel 2020 la pandemia – sia detto per inciso, non semplice incidente di percorso ma limite “esterno” dello sfruttamento della natura insito nell’attuale modo di produzione; tale impatto ha rimesso in discussione l’equilibrio faticosamente raggiunto tra le diverse fazioni dello Stato anticomunista occulto, il quale ora prova a uscire dalle sue crescenti difficoltà con ulteriori forzature della Costituzione formale antifascista. In particolare, ma non da ora, i punti di tensione sono il sistema giudiziario e la forma di governo parlamentare, ritenuti lacci troppo stretti per la ricostituzione del margine di un saggio di profitto in caduta libera. Il sistema giudiziario è già stato oggetto di particolari attenzioni da parte del governo in carica ma, per quanto esso cerchi di guadagnare meriti con occhiute repressioni dei movimenti anti-modernizzatori, dovrà essere ulteriormente “fluidificato” nella sua pretesa di essere il guardiano di uno Stato di diritto tanto astratto, quanto compromesso da poco commendevoli pratiche carrieristiche. Una condizione essenziale perché ciò avvenga è che l’elezione del Presidente della Repubblica segni sia nelle modalità politico-istituzionali che nella figura stessa dei suoi protagonisti un cambio di forma di governo, con il passaggio dalla repubblica parlamentare a quella presidenziale. Tale passaggio potrà essere più o meno radicale, e questo dipenderà se a vincere sarà l’uno o l’altro dei candidati che sin qui si stanno contendendo la scena, se a vincere cioè sarà o l’élite eurocratica o quella simil-sovrana. L’elezione del prossimo Presidente della Repubblica è insomma una “trattativa” in chiaro, senza (si spera) scoppi di mortaretti, anche se qualcuno, non si sa bene se incauto o ben informato, ha già evocato i generali. È evidente che rispetto a tutto ciò, riformismo, populismo e sovranismo sono strumenti del tutto inadeguati alla sfida in corso da ormai un trentennio in Italia, e che una soluzione alternativa di ricomposizione dello Stato dovrebbe essere quella che, nel quadro di una attenta analisi delle nuove opportunità offerte dalle trasformazioni del quadro politico internazionale, mirasse a riconquistare, su una nuova base economica a tale scopo finalizzata, quell’indipendenza nazionale tragicamente perduta nell’avventura della Seconda guerra mondiale.