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Casta Europa

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Il tema della casta politica solo all’apparenza è un fatto di politica interna, e viene da lontano. L’Europa, sotto l’ombrello della guerra fredda, ha vissuto sino a tutti gli anni Ottanta come un enfant gaté. Poi, è stata rifondata a Maastricht. Ci riferiamo sempre a De Gasperi, ma lì, per l’Italia, i protagonisti sono stati Giulio Andreotti e Guido Carli. Un cinico e un pessimista. Di fronte al debito che cresceva, Carli si interrogava angosciato: perché gli italiani consumano così tanto? Invece di andare in direzione del Vaticano, promuovendo una nuova Porta Pia, entrambi, e con loro tutta la classe governante, pensarono che si potessero riformare gli italiani, ponendo un vincolo esterno. L’Europa diventava perciò un fatto esteriore. Quello che non si riusciva ad avere per consenso, lo si sarebbe ottenuto per autorità. Di qui la divaricazione che ha portato da un lato alla casta, che vive di rendita, tanto c’è l’Europa che ci pensa, e dall’altro all’antipolitica, cioè la rabbia contro dettami dall’alto verso cui non c’è consenso. Naturalmente, il vincolo esterno era anche un modo per sedere al tavolo dei grandi. Un neocavourrismo permanente, di cui Mario Monti è la perfetta incarnazione. Gli esodati sono l’equivalente del pugno di morti della guerra di Crimea. Ma l’Europa non è divenuta una caserma solo per gli italiani. A Maastricht, Delors diceva occupazione, e Lamers rispondeva stabilità monetaria. Firmarono con la riserva mentale, mentre i popoli ignari sciamavano nei meandri del consumismo. E l’ha avuta vinta la stabilità, cioè la potenza, l’antico vizio europeo, rilegittimato dalle necessità della “globalizzazione” . Il liberismo, in Europa, si è diffuso perché era lo strumento più adatto per ottenere, tramite la moneta, la potenza. L’euro, perciò, nel momento stesso in cui li salvava, è diventato un fardello per i popoli. Al dovere di consumare si è aggiunto quello di dover lavorare di più, per potere consumare di più che richiede di lavorare di più. Insomma, diciamo Europa, ma a Maastricht ne è nata una molto diversa da quella pensata negli anni Cinquanta, un’Europa ottocentesca, ma sublimata nei cieli della finanza. Siamo di fronte ad un equivoco, ma non si vedono le forze che possono chiarirlo.