classi subalterne

Se subalterno diventa un insulto

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«L‘Italia leghista è un rivolgimento profondo, sociale e culturale prima ancora che politico, come testimonia il voto nelle ex regioni rosse. Già in passato le classi subalterne si illusero di trovar tutela nella trincea della nazionalità. Non finì bene». Così ha twittato Gad Lerner, qualche giorno fa, sollevando lo sdegno di tutto l’universo social-mediatico per l’offesa portata, con quel “classi subalterne”, a coloro che alle recenti elezioni europee avevano votato massicciamente Lega. Classi subalterne. Com’è potuto accadere che un termine fra i più importanti del contributo di Gramsci alla marxiana scienza della lotta di classe (copyright, Louis Althusser), sia divenuto un insulto classista? Gramsci fa sempre brutti scherzi. I suoi termini sono a doppio taglio, e si vede che Lerner orecchia. Se avesse letto bene Gramsci, avrebbe compreso che classi subalterne è un concetto, al tempo stesso, descrittivo e normativo. Descrive il fatto sociologico della divisione tra governanti e governati, ma esprime una rivendicazione politica di identità dei governati, al fine del proprio riscatto. Ora, un tempo i subalterni erano orgogliosi di essere tali perché credevano, istruendosi e lottando, di potere battere i dominanti e abolire il dominio per conto di tutto il genere umano. Ma oggi sono rabbiosi e frustrati perché, pur avendo lottato e pur essendosi istruiti, tutto ciò non è accaduto, e la loro condizione è peggiorata. Perciò, sentirsi dare del subalterno non li gratifica, anzi ricorda loro una condizione che rifiutano, e non ammettono che li riguardi. Non sono forse l’infallibile popolo sovrano, come esige da loro il discorso democratico? Ed è forse un caso che “classe dirigente” è invece una locuzione di successo? Tutti aspirano ad entrare nella classe dirigente, tanto è vero che primarie e parlamentarie sono sempre affollatissime. Impegno civile? Può darsi. Ma perché escludere che la legittima voglia di riscatto oggi si traduca semplicemente e brutalmente nella voglia di andare a comandare? Rabbia e frustrazione, dunque, oggi, nei subalterni, ma anche egoismo, perché sono passati dal girone del consumismo e dell’ascesa sociale, le cui conquiste si sono rivelate effimere sotto l’urto della crisi economica. Si sono aperte così fratture, e se il subalterno immigrato reclama i diritti di sopravvivenza, il subalterno nativo rivuole indietro ciò che nel frattempo era diventato, almeno in parte, un privilegio. Ci si interroga su come tornare a parlare agli operai. Con il semplice ma efficace discorso della verità, si potrebbe rispondere con Bertolt Brecht. Ma dai tempi di Brecht, la condizione dei subalterni è molto cambiata, e ricorda quella ambivalente della nevrosi. Prima i subalterni dovevano prendere coscienza. Coscienza della propria condizione di classe. E la presa di coscienza, essendo un’operazione razionale, era relativamente semplice, anche se emotivamente costosa. Oggi l’operazione è più complessa, perché non si tratta più di presa di coscienza, ma di un transfert che ricomponga un vissuto lacerato da rimozioni vecchie e nuove. In parte, questa è l’emotività che vorrebbero recuperare i “fagiolini”, i discepoli di Massimo Fagioli, lo psicanalista eterodosso che praticava l’analisi collettiva anonima. Solo che non ci si può crogiolare nel tempo infinito di una psicoterapia di massa. L’azione politica, che resta pur sempre un conflitto dove si vince o si perde, ha le sue urgenze, e il Moderno Principe cui Gramsci affida le sorti dei subalterni non può diventare il Grande Analista. Al massimo, affinché la politica non si disumanizzi, com’è tragicamente accaduto in passato, si può pensare ad una energica “terapia comportamentale”, che allevii i sintomi più lancinanti di cui soffre la sinistra – mancanza di uomini d’azione, divisione insanabile tra estremisti e moderati, incapacità di scegliere scopi e di adeguarvi i mezzi, verbalismo, narcisismo, opportunismo. Una terapia comportamentale, una “manipolazione buona” che, riportando la nevrosi ad un livello accettabile, renda di nuovo possibile ricostituire un esercito di combattenti, perché di questo infine si tratta, di un combattimento dove la controparte non ha mai disarmato, e mai disarmerà, perché tutta la realtà fattuale sta dalla sua parte. Ed è solo con la lotta che è possibile dimostrare che si tratta di una realtà effettuale sbagliata.