Deng Xiaoping

La guardia rossa va a cavallo

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In una corrispondenza da Pechino, Guido Santevecchi, sul “Corriere della Sera” del 1° maggio 2016, pag. 17, dà la parola ad un ex guardia rossa, riciclatosi come allevatore di cavalli per i nuovi ricchi cinesi, facendogli raccontare il suo spaventoso crimine “politico”, cioè aver ucciso a bastonate un sedicenne suo coetaneo durante uno scontro tra bande di giovinastri riverniciati di militanza politica. Il povero ragazzo morto era figlio di operai, e la polizia – dunque, apprendiamo che all’epoca in Cina c’era anche una polizia – arrestò il futuro allevatore di cavalli qualche settimana dopo, anche se poi l’ardimentoso fu rilasciato perché il padre del sedicenne ucciso lo perdonò. Insomma, un minimo episodio di teppismo giovanile finito male, dati i tempi politici turbolenti, la cui colpa naturalmente, per Guido Santevecchi ricade sull’odioso Mao. Ecco, infatti, il cappelletto “storico” che egli premette al racconto, che occupa un’intera pagina del quotidiano solferinico:

 

«Erano i tempi della Rivoluzione Culturale, che secondo la storia ufficiale fu lanciata da Mao Zedong il 16 maggio 1966 per purgare il Partito comunista dagli “elementi borghesi infiltrati nel governo e nella società”. In realtà Mao voleva riaccentrare tutti i poteri eliminando gli avversari politici come Deng Xiaoping e Liu Shaoqi. “Bombardate il quartier generale”, disse ai giovani. I ragazzi furono entusiasti di eseguire trasformandosi in carnefici, picchiando e torturando professori, intellettuali, borghesi, revisionisti. Ci furono due milioni di morti in Cina tra il 1966 e il 1976; e figli che denunciarono i genitori; e umiliazioni pubbliche; e gente che si tolse la vita non potendo più sopportare la brutalità».

 

A parte i milioni di morti, calcolati sempre a spanne, ma viene da chiedersi se, morto Mao, Den Xiaoping non ha forse fatto una politica che, dal punto di vista di Mao, cioè del partito di cui era a capo, era borghese e capitalista. Non ha forse Deng Xiaoping avviato la politica che ha fatto della Cina quel paese capitalistico che è, sebbene con caratteristiche tali, da indurre i cinesi a parlare con involontaria ironia di “socialismo con peculiarità cinesi”? Dove starebbe, allora, il crimine di Mao? È stato un crimine aver difeso i principi ideologici comunisti da chi voleva tradirli? Il crimine è stato di Mao, o di chi, volendo tradirli, provocò lo scontro politico che prese il nome di “rivoluzione culturale”? Santevecchi sorvola sul tradimento, comprovato dal comportamento successivo di Deng, che dà ragione a Mao, e invece agile come un gatto salta sull’argomento della pura lotta di potere, per poter squalificare la reazione di Mao, così trasformato in un despota sanguinario. Ma così facendo, Santevecchi dimostra di essere sì, agile, ma non come un gatto, bensì solo come un gattino, uno dei tanti gattini ciechi ammaestrati a ripetere da ogni canto una rappresentazione di parte che, anche contro l’evidenza dei fatti, pretende di essere la verità storica.