marxismo

Tesi sul materialismo storico XXI secolo

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Dopo l’ubriacatura del punto di vista che è tutto, della decostruzione, della narrazione, dello sbriciolamento linguistico della realtà, il bisogno di realtà è enorme, ma si afferma tramite un’ontologia amorfa, ad opera di “intellettuali” che nei media e nelle case editrici riproducono il punto di vista “irreale” sulla realtà. C’è chi illuso cerca di “dialogare” con questi opportunisti chiedendo loro come mai dal novero delle ontologie escludono il marxismo, e naturalmente non ricevono nessuna risposta. Cosa dovrebbero rispondere? Che se si azzardassero a menzionare il materialismo storico, i loro lauti contratti verrebbero immediatamente rescissi e le televisioni non li inviterebbero più perché non risulterebbero più “interessanti”? C’è quindi poco da “dialogare” e molto da combattere per scalzarli dal terreno della realtà che occupano con i loro simulacri. Gli appunti che seguono, in forma di tesi da approfondire e rielaborare, hanno anche questo scopo.

1. La struttura è il rapporto storicamente determinato che l’attività umana sensibile realizza tra il soggetto e l’oggetto in rapporto con gli altri soggetti. Essa avanza per “epigenesi” i cui principi nell’ontogenesi sono riprodotti dalla psicogenesi e confermati dalla saldezza del senso comune. A questa circolarità sfugge la sociogenesi, la cui indeterminatezza logico-storica consente di porsi fini ulteriori rispetto alla socialità in essere. L’epigenesi che ha generato il capitalismo ha dato luogo a una socialità civile caratterizzata dalla scissione tra dato empirico dei sensi e scopi a priori della ragione. Il suo superamento è il contenuto dell’epigenesi avvenire in vista di una integrale umanità sociale.

2. Nella socialità delle specie non umane due sono gli elementi cruciali, ovvero la determinazione dei rapporti di potere, regolati all’interno dalla selezione individuale e all’esterno dalla selezione di gruppo, e la creazione di un sistema produttivo coincidente con le specificità anatomiche e comportamentali degli organismi. Il distacco del sistema produttivo da tali specificità, dopo che il lavoro è subentrato all’istinto grazie a un superiore modo di cooperazione, e la finalizzazione dei rapporti di potere all’appropriazione del plusvalore, in seguito alla socializzazione del sistema produttivo, danno luogo al divenire storico-genetico in cui la struttura si scinde estraniandosi nella sovrastruttura. All’inizio, la sovrastruttura sovra-determina la struttura, poiché la pratica è ancora dominata dall’appercezione immaginativo-senso-motoria (religioni naturali). Successivamente la struttura, intesa nel suo significato tipicamente strutturalistico di sistema di scambi di valori equivalenti di merci, determina progressivamente con la successione dei differenti modi di produzione le corrispondenti figure storiche della sovrastruttura (l’astrazione cristiana rispetto all’empirismo giudaico). Nello stadio storico del capitalismo tale determinazione è totale (religione “muta” della merce le cui divinità sono i “nomi” pubblicitari), ma la sovrastruttura non diviene un semplice riflesso poiché all’ombra del suo potere causale è possibile fissare i principi di una “epigenesi” controllata.

3. La realizzazione di tale socialità ulteriore richiede però la “presa di coscienza” dei procedimenti con cui opera l’attività umana sensibile. Verum est ipsum factum, ma non come ricostruzione conoscitiva di una mente isolata bensì come superamento “pratico-critico”, tramite un superiore modo di cooperazione, della “falsa coscienza” capitalistica che occulta la genesi e naturalizza la struttura. La riduzione della storia a tradizione derivante da tale falsa rappresentazione apre la strada all’irrazionalismo inteso come negazione dello sviluppo dialettico del pensiero. L’irrazionalismo da semplice tendenza filosofica diviene così ideologia di massa, che assume le forme storiche corrispondenti alle differenti civiltà.

4. Facendosi largo negli interstizi delle civiltà, la struttura si è sviluppata secondo due ordini, l’ordine diretto e l’ordine invertito dello sviluppo. L’ordine diretto si basa su una campagna industriosa che, alimentando una città amministrativa, sorregge il commercio all’interno di vasti e quieti “mondi a parte”. Il naturalismo anti-dialettico di tale ordine si manifesta nella glorificazione della tradizione (eurasismo, armonia confuciana) Diversamente, l’ordine invertito comporta una città mercato di scambi che sin da subito assoggetta la campagna (sussunzione formale) con uno “sfrenato movimento” i cui confini coincidono con il mondo intero (sussunzione reale). Nel naturalismo anti-dialettico di tale ordine la glorificazione della tradizione (irrazionalismo filosofico sino alle sue propaggini politiche del nazifascismo) si rovescia in un secondo tempo nella celebrazione di un falso divenire (americanismo). Nella sua espansione imperiale questo falso divenire travolge soggetti che vengono percepiti, per così dire, come semplici elementi del paesaggio i quali però, rianimati da tale intrusione, divengono ostili (moti di emancipazione dall’Occidente, migrazioni). Di conseguenza, mentre l’ordine invertito dello sviluppo inasprisce il proprio dominio indebolito dalle “oscure potenze” che ha evocato, l’ordine diretto si attiva per la conservazione dei “mondi a parte” promuovendo un policentrismo il cui assetto oligarchico si prospetta non meno caotico e conflittuale dell’unipolarismo in declino.

5. Intorno all’epigenesi avvenire volteggiano parole irridenti, disilluse, allucinate. Ontologie sociali? Teleologismi storici? Rileggetevi La scommessa di Prometeo, ghigna il nichilista incallito, poi fatevi una breve passeggiata a Nairobi o a Città del Messico e in ultimo provate a riscrivere L’ontologia dell’essere sociale.  Sicuramente gran parte dell’umanità ne comprenderà il senso! E chi può credere che l’adolescente di oggi che la vita adulta immancabilmente corrompe possa essere l’uomo della futura umanità sociale? Stalin ha ucciso Rousseau, strilla lo scettico disilluso, e il telefonino ha ulteriormente abbassato il livello di corruzione dell’età ingenua. L’infanzia in realtà riproduce l’essere della servitù volontaria in cui si è arenata la dialettica di servo e padrone che il connubio tra filosofia, critica sociale e movimento operaio non è riuscita a trasformare in un trionfo della ragione. Vengano avanti, allora, gli esaltati banditori di nuovi programmi e più radicali. Se servi e padroni sono servi di una servitù totale, le soluzioni possibili non possono più essere cercate nell’intersezionalità dei diversi rapporti di potere e nelle contraddizioni tra diversi gruppi sociali, ma solo in ogni esistenza individuale: da “la politica in prima persona” del sofisticato ’68 all’“uno vale uno” del più ruspante populismo italico. Superando le vecchie divisioni tra natura e cultura, natura e tecnologia, natura e arte, ciascuno a suo modo nell’urbanesimo globale e nelle reti cibernetiche ingaggi una battaglia all’ultimo sangue per una rottura che – però — deve essere pensata e vissuta nell’esistenza comune. E allora, contro gli asceti politici, i militanti cupi, i terroristi della teoria, contro coloro che vorrebbero preservare l’ordine puro della politica e del discorso politico, si mettano in atto pratiche etiche affermative portate avanti da corpi, affetti, nomadismi sdegnosi di lotte dialettiche (le vecchie, patetiche lotte antiautoritarie!) e capaci invece, in quanto pratiche del sé, di aprire spazi di contro-soggettivazione. Mondi plurimi di infiniti pluralismi, in cui detronizzare il troppo astratto, il troppo poco carnale potenziale vitale ipoteticamente insito nel non-nato umano. Altro che infanzia! Bisogna invece immaginare altri mondi/modi riproduttivi/produttivi dove l’impiego delle nuove tecnologie, dalla fecondazione assistita all’ectogenesi, dall’ingegneria genetica all’informatica, possa aprire un futuro non eteronormato, antispecista e geocentrato, per sovvertire l’attuale ordine familista al fine di intessere parentele postumane, possibilità di vita comuni e mai più antroponormate, anche perché è un fatto che la specie sapiens, camaleontica com’è, non è a rischio di estinzione,  perché «molto ampiamente distribuita, adattabile, in attuale aumento e non esistono rilevanti minacce che possano risultare in un declino della popolazione complessiva».

6. Dunque, la realtà è un’efflorescenza di negatività senza una logica soggiacente. E non c’è bisogno di intraprendere lunghi viaggi per rendersene conto, basta farsi un giro lì dove giacciono braccia amputate di corpi capitalisticamente eteronormati. La rivoluzione divora sé stessa, anche se sino a Stalin era viva e vegeta. Esistenza comune, certo, non bisogna farsi mancare niente, ma solo come aggregato di invalicabili contro-soggetti intuitivo-corporei. Conficcare nelle fauci della dialettica pratiche affermative, ancorché etiche, che scongiurino le sue sintesi aborrite e lascino sempre beante il desiderio. Potere alla tecnica che, come la specie, tutto può. E così dalle viscere mistiche della natura alla quale tutto è stato sacrificato rinasce il dio che ci può salvare invocato dal filosofo sciamano. Contro questa grancassa assordante, in cui una nuova specie di anarchismo si sposa con la più rutilante tecno-scienza, non basta ribadire che l’irrazionalismo è una forma di reazione allo sviluppo dialettico del pensiero ma bisogna proclamare alto e forte che l’irrazionalismo ha occupato e stravolto le storiche posizioni politiche del pensiero storico-dialettico e con i simulacri così fabbricati è divenuto “popolare”, rivendicando di volta in volta di essere né di destra né di sinistra o di sinistra dei diritti o di destra anti-establishment e altre possibili combinazioni tutte convergenti nell’attacco più o meno consapevole all’unica posizione che si propone realmente il superamento del regime capitalistico, cioè quella della sinistra ancorata alla teoria e alla pratica scientifica dello sviluppo storico. Senza ulteriori attendismi, la posta in gioco è di riprendersi le proprie posizioni per tornare a essere non demagogicamente ma egemonicamente popolari, con interrogativi che scaturiscono dalla realtà effettiva. Ad esempio, se il moto dalla “campagna” alla “città” porta con sé un continuo mutarsi della composizione sociale‑politica della “città”, cosa può succedere alla “città”, se cresce non per la sua stessa forza genetica, ma per immigrazione: «potrà compiere la sua funzione dirigente o non sarà sommersa, con tutte le sue esperienze accumulate, dalla conigliera [mondiale] contadina?» (Gramsci, Lettere dal carcere, ed. Caprioglio-Fubini 1965, p. 281). E, riguardo al genere, sino a che punto il “maschilismo” può essere paragonato a un dominio di classe? Esso ha più importanza per la storia politica e sociale o per la storia dei costumi? (Gramsci, Q. 25, § 4, p. 2286).

7. È inevitabile che una strategia tutta volta al dover essere dei diritti, ancorché subalterna allo sfrenato movimento economico, produca errori di tattica. Ad esempio, è evidente che l’egemonia dal basso, l’egemonia che vuole realmente scalzare l’egemonia secolare dei differenti ordini di sviluppo, non può tenere assieme il lavoro e l’impresa nell’illusoria prospettiva di una “società dei produttori” che releghi la parte sordida del capitalismo nella sentina della rendita. Questo virtuismo “ricardiano” non coglie il fatto che tanto il profitto quanto il salario vanno negati assieme se si vuole affermare l’essere della nuova umanità sociale. Questo contenuto dialettico, pratico-critico, rivoluzionario, dell’egemonia dal basso, che il riformismo in tutte le sue varianti elude con compiaciuto servilismo, insegna anche che va ormai respinto il ripetuto appello allo “schieramento antifascista”. Nel suo contenuto economico, il fascismo è il profitto senza la bombetta dalla City londinese, ma lo “schieramento antifascista” è la commedia dell’arte del capitalismo in cui al lavoro nella parte del servo sciocco viene concessa la battuta quando le fazioni borghesi lo chiamano a schierarsi da una parte o dall’altra nelle loro dispute di potere. È un errore fatale, commesso ancora solo ieri in Francia, dove pure per un’astuzia della storia il sistema elettorale se differentemente usato avrebbe consentito ben altri esiti, non dotarsi per tempo di un coeso organismo (tu chiamalo, se vuoi / partito) con cui affrontare in autonomia lo scontro diretto con il profitto, quale che sia la maschera che indossa.

8. L’egemonia dal basso è la nuova “epigenesi” volta al superamento del valore di scambio come “premessa tipica” della forma di vita capitalistica. Ciò che è non è il capitalismo ma il processo morfogenetico. Questo divenire razionale non fluisce errando nel mondo astratto del dover essere ma si attua nella “concretezza del suo tempo”. Tale concretezza è il lato esterno dell’agire egemonico dal basso, il cui lato interno non è indeterminato poiché volto alla finalità di una riforma strutturale che, nel suo sviluppo, «sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento [tale riforma] e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo» (Gramsci, Q. 13, § 1, p. 1561). Tale finalità, se perseguita senza tener conto della “concretezza del suo tempo”, diviene indeterminata. L’indeterminatezza del lato esterno è dunque la condizione della determinatezza del lato interno e dall’unità di questi opposti deriva la possibilità che l’agire egemonico dal basso raggiunga il suo scopo. Poiché il lato esterno è indeterminato, tale possibilità può anche non realizzarsi nell’immediata “concretezza del suo tempo”, ma ciò non pregiudica che possa realizzarsi nella concretezza di un tempo concreto successivo, a condizione che permanga un nesso soggettivo nella successione temporale oggettiva. A tal fine una funzione essenziale svolge la preservazione del patrimonio ideale e pratico purché non si riduca a coltivare o, peggio, a celebrare sentimenti nostalgici o malinconici su cui costruiscono le loro fortune piccole cerchie “monastiche” dedite ad accaniti studi ermeneutici o élite politiche il cui verbalismo “egemonico” nobilita il loro stato fossile o, peggio, maschera pratiche di potere anti-dialettiche.

9. I movimenti fascista e nazista della prima metà del XX secolo furono una reazione consapevole della classe dominate a ciò che temeva di più: la svolta del socialismo. Di cosa hanno paura oggi? Come mostrano gli scoppi improvvisi avvenuti di recente in Inghilterra, hanno paura dell’ira delle masse lavoratrici, che trovano sempre più difficile sopportare le regole crudeli che vengono loro imposte. Si parla sempre più frequentemente di “guerra civile” negli Stati Uniti, in Francia, nella stessa Inghilterra. Uno scenario del genere riguarda le masse lavoratrici, in particolare il suo nucleo di classe operaia, sviata dalle politiche di austerità verso un razzismo corporativo le cui rivolte spontanee giustificano poi la repressione per ristabilire l’“ordine democratico”. Qualsiasi, ulteriore gestione riformista di questo circolo vizioso non offre alcuna via d’uscita e favorisce solo l’equivoco rovinoso di un Occidente ridotto alla sola idea di potenza cui si aggrappano le sue vecchie classi dominanti in preda alla disperazione. La “guerra civile” che esse vogliono imporre a una classe operaia immiserita e criminalizzata per reprimerla e assoggettarla del tutto, diventi l’occasione per smascherare la falsa “politica democratica” con cui si persegue lo stesso fine che negli anni Trenta del secolo scorso si ottenne con i movimenti fascista e nazista. Non c’è più la prospettiva immediata della svolta del socialismo ma c’è più pesante che mai il fardello dello sfruttamento capitalistico. Il compito immediato dell’egemonia dal basso è il chiarimento di massa di questa realtà da troppo tempo oscurata. Ma non sarà certo la rilettura delle Riflessioni sulla violenza, riedite dai soliti confusionari, a chiarire le idee. Non è con i miti che si costruisce il nuovo mondo. In questo campo, il capitalismo si è mostrato molto più abile del socialismo.

10. Nel romanzo di fantascienza Stella rossa, Aleksandr Bogdanov descrive il socialismo come una civiltà superiore costruita su Marte che, messa in crisi dal suo stesso super regolato industrialismo, progetta di attaccare la civiltà più arretrata del pianeta Terra per sfruttarne le risorse. Ma oggi sono i super capitalisti come Musk a progettare su Marte una simile civiltà superiore. Non bisogna confondere il socialismo con certe sue deviazioni e prenderle a pretesto per abbandonare la teoria e liquidare l’organizzazione. Due sono state le strade intraprese per arrivare al socialismo, quella del lavoro culturale prima e quella del lavoro culturale dopo la conquista del potere politico. Il percorso “egemonico” non è mai pervenuto al socialismo, mentre il percorso della “dittatura del proletariato” non è riuscito a svellere il precedete sostrato culturale ed è stato perciò rovesciato. L’esperienza storica mostra che è fondamentale conquistare il potere politico, ma che la “dittatura del proletariato” deve acquistare un significato più ricco e articolato. Suo scopo principale deve essere il superamento dei nazionalismi. La nazione è la culla delle borghesie e il nazionalismo lo strumento per dividere le masse lavoratrici. Ma l’internazionalismo non può essere una fede astratta. Esso deve sorgere dalla convinzione che in determinati contesti è l’unica soluzione possibile dei conflitti. È evidente che la contrapposizione israelo-palestinese non può essere risolta su base nazionale ma solo su un criterio di classe. Ma come raccordare una classe operaia “privilegiata” con una “oppressa”? Questi sono i compiti che il socialismo finalmente deve essere in grado di porsi.

11. Il socialismo può risorgere se, confrontandosi con la realtà nuova insediatasi dopo il crollo del 1989, i nuovi cammini che dovrà percorrere nella teoria e nell’organizzazione saranno nel solco storico-materialistico, l’unico che, raccogliendo e potenziando l’eredità del pensiero dialettico, è sinora quello che nonostante tutto gli ha assicurato i maggiori successi. Qual è questa realtà nuova? Un mondo fluido su un’unica base d’acciaio. Un arcipelago di isole fisse nel tempo. Un simulacro di divenire che permea “armonicamente” il mondo di sé. Queste le tre potenze che dall’ultimo scorcio del XX secolo proiettano la loro ombra minacciosa sul XXI. Sono potenze negative nel senso che, confliggendo tra di loro, disarticolano la “globalizzazione” e, così facendo, negano la pretesa del capitale di unificare il mondo sotto il suo dominio. Ma non sono capaci di additare un avvenire, bensì rischiano di precipitare l’umanità nella catastrofe. Il socialismo può riproporsi come sintesi razionale della vita in progresso se del suo patrimonio ideale e pratico valorizzerà tutti quegli elementi che, negati od oscurati da errori e deviazioni, gli consentano di porre il suo umanesimo su una base nuova e più adatta al millennio che inizia. Se nel Novecento è stato un socialismo statalizzatore, nel Duemila dovrà essere un socialismo socializzatore; se si è affidato al complesso tecnico-scientifico e militare-industriale, ora dovrà sottomettere queste forze produttive ai bisogni locali di comunità che si autogestiscono; se ha governato amministrando, ora dovrà coordinare i diversi livelli di democrazia diretta; se ha predato la natura, ora dovrà adattarsi ai suoi ritmi riproduttivi. Le piaghe dell’urbanesimo desertificatore, dell’esplosione demografica, delle migrazioni bibliche potranno essere così lentamente riassorbite e potrà prepararsi il terreno per una civiltà terrestre che, proiettandosi nell’Universo, saprà intessere il dialogo con i nuovi mondi.

 

Rodi e la rosa, il salto e la danza / la croce è questa, salta danzando