A che punto siamo? A un punto morto. Quando finirà la guerra? Non domani né dopodomani. Durerà a lungo. Perché più passa il tempo, più ognuno ci trova una scusa per allungarla. Dapprima erano gli Stati Uniti che, soffiando sul fuoco della guerra civile tra Russia e Ucraina, impedivano alla Russia di ricomporre l’area economica ex-sovietica, la costringevano nei confini del regno di Mosca del XVII secolo e impedivano il transito del gas russo verso l’UE così costretta a rivolgersi agli esosi americani per il proprio fabbisogno energetico. Poi la stessa Unione Europea, che indugiava in improbabili piani di riconversioni ecologiche, ha trovato nella guerra l’occasione per rilanciarsi economicamente, puntando al riarmo che dovrebbe anche metterla al riparo da eventuali turbolenze provenienti dagli Stati Uniti in fuga dalla Nato. Infine, la Germania sta cogliendo l’opportunità di ribaltare i risultati della Seconda guerra mondiale, riarmandosi e puntando di nuovo a disgregare la Russia, obiettivo in cui si ricongiunge egemonizzandoli con ucraini e polacchi, secondo lo schema già perseguito dal Terzo Reich. Qui precipitiamo nella notte dei tempi, nel millennio dell’alterno confronto tra Europa cristiano-germanica e l’originaria Rus’ dal cui disfacimento emerge il nome Ucraina, monta la potenza della Confederazione polacco-lituana, ascende il regno di Mosca a Impero zarista sino alla Rivoluzione d’Ottobre che lo sopprime costruendo al suo posto il razionale edificio dell’Unione Sovietica. Che si sia trattato di una costruzione razionale è dimostrato dal suo successo socio-economico. Il comunismo infatti in un ventennio ha trasformato il caos di quell’immensa area in un poderoso sviluppo economico. L’URSS ha poi retto l’urto dell’aggressione tedesca conquistando per contraccolpo Berlino, è divenuta la seconda potenza nucleare del mondo e ha raggiunto per prima lo spazio extraterrestre. Il comunismo dunque, almeno nella sua versione economicistica, ha tenuto fede al suo programma di sviluppo delle forze produttive ma, affidandosi solo a un povero evoluzionismo scientifico, non è riuscito a debellare le forze sedimentate dalla storia, cioè i nazionalismi etnici e l’Ortodossia. Queste forze spirituali vincitrici dello scontro animano ora la geopolitica, cioè la frammentazione dello spazio storico in una molteplicità di dialetti irriducibili. La guerra in Ucraina non finisce perché è in atto questo momento irrazionale, laddove la razionalità non è il disegno provvidenziale né le magnifiche sorti e progressive ma il finalismo delle forme che attraversa la materia in tutti i suoi ordini, dall’inorganico all’organico al sociale. Questa spinta esiste ma non ha nulla di predeterminato né si compie spontaneamente poiché è l’organizzazione del livello superiore cui essa di volta in volta perviene che la spinge a superare la stasi in cui altrimenti ristagnerebbe. Il momento geopolitico in atto è un momento di stasi in cui l’Occidente torna a giocare il ruolo che svolge da un secolo, produrre simulacri di razionalità, il cattolicesimo della “dottrina sociale”, l’americanismo come filosofia della “vita pratica”, l’intelligenza artificiale come “cooperazione assoluta”, allo scopo di prolungare l’agonia del modo di produzione vigente. Non tutto dipende dai modi di produzione. Se tutto dipendesse da loro il comunismo avrebbe già da tempo soppiantato il capitalismo. Ma i modi di produzione si scontrano con il sostrato delle forze spirituali, cioè le spoglie che il finalismo delle forme dissemina nel suo cammino. Esse, assurte a fantasmi della storia, fanno da scudo a un modo di produzione superato, ostacolando l’affermarsi di una nuova spiritualità che, scissa dalla storia, tragga la sua forza dall’immanenza della forma interamente compiuta. C’è solo da mettersi le mani ai capelli al pensiero che il percorso cosmico della natura che diviene trasparente a sé stessa abbia come attore un guitto come Volodymir Zelensky.