papa Francesco

Merkel migranten

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Dialoghetto

sulla trasmigrazione biblica in corso

dal Medio Oriente all’Europa Centrale

 

A: Quelle fiumane di gente che dal Medio Oriente si riversano su Vienna e Monaco sono la miglior prova che il fanatismo islamico non ha futuro. Invece il diciottenne ivoriano che ha massacrato i due pensionati di Palagonia (se è andata così), non rende affatto tranquilli. Dove si forma questa capacità di morte, in paesi dove, con tutte le disgrazie che hanno, i figli li crescono bene?

 

B: In quel che dici c’è una nota così inaspettata di ottimismo, che non posso non chiederti spiegazioni. Le migrazioni di questi giorni un segno che il fanatismo islamico non ha futuro? Che Maometto ti ascolti. E invece ti sorprendi di casi come quello di Palagonia? Centinaia di giovani maschi segregati dai cancelli del Cara e dalle molto più pesanti barriere invisibili, tenuti a bagnomaria per mesi: come vuoi che non schizzinino di cervello anche  ammesso (del che dubito assai) che siano stati “cresciuti bene”, come tu dici, nel loro paese?

 

A: Il mio inaspettato ottimismo, se così può dirsi, deriva dalla considerazione di certe paroline provenienti dal Pentagono, in quel di Washington. Dicono che la crisi migratoria durerà vent’anni. Eh, già, loro hanno rotto le uova, e dall’odore hanno subito riconosciuto la frittata. Quella che loro chiamano “crisi migratoria”, mi pare principalmente la conseguenza della distruzione della classe media irachena e siriana, innescata dalla loro guerra condotta al comando del duo Bush-Cheney e alimentata da successive inettitudini e machiavellismi al momento del fallito cambio di regime in Siria. Per fortuna, poi, Obama è stato prudente coi missili, altrimenti a quest’ora avremo anche dei “migranti” iraniani. Non so se ci vorranno vent’anni, o meno, o più, perché quei paesi si ricompongano, ma il loro futuro non può certo essere quello dei grotteschi guerrieri di Allah. Per quanto la Merkel possa offrire loro interessanti salari di quattrocento euro al mese, buona parte di quella gente, che intanto ha cercato rifugio nei paesi degli “infedeli”, vorrà rifluire in Iraq e in Siria, certamente non per assistere agli sgozzamenti ad opera di europei in cerca di sensazioni forti. Insomma, sia la fuga che il (probabile) ritorno mi sembrano sotto il segno di una laicità peculiarmente araba, che l’ottusa intrusione occidentale dell’ultimo decennio ha sconvolto e interrotto nella sua autonoma evoluzione. Altra cosa sono le migrazioni dei ragazzi dell’Africa nera. Mi pare evidente che sono cresciuti bene. Li recuperano in mare, dopo giorni di stenti, sani e muscolosi. Vuol dire che la sanità di base e l’alimentazione in quei paesi, benché poveri, funziona. Nella maggior parte dei casi, poi, sono rispettosi dell’autorità, forse anche troppo. Vuol dire che sino ad un certo punto le famiglie riescono a seguirli, magari con modelli educativi che per noi sono arcaici. Se diventano schizzati, poi, è perché, come dici tu, noi li segreghiamo. Ma si tratta di casi isolati, come l’ivoriano, e questo dimostra che anche la loro salute mentale è robusta, se nella maggior parte dei casi riesce a resistere a quelle prove. Avrai sicuramente visto che Scalfari, che spesso è al telefono con il Vicario di Dio, riferisce che quest’ultimo ha in animo di proporre un piano mondiale di assistenza in loco per questi paesi, mi pare di avere capito un piano Marshall dell’anima. Questi paesi vorranno essere “spiritualmente” assistiti? Riemergerà sotto altre spoglie la nostra inguaribile vocazione coloniale? Ci manderemo reciprocamente a quel paese? Impareremo finalmente ad aiutarci alla pari? Qui ritorno ad essere pessimista, anche se questo papa Francesco fa proprio di tutto per starmi simpatico.

 

B: Convincente la prima parte del tuo discorso, a condizione di un ottimismo di base che mi rallegra  e che voglio condividere: più che come una profezia come auspicabile programma. In altri termini, se la politica occidentale (nel senso di europeo-occidentale, cioè primariamente tedesca), sarà illuminata, il tuo scenario ha probabilità di realizzarsi. Se prevarrà invece la fatua commozione virtuosa, allora assisteremo alla lumpenproletarizzazione della borghesia siriana trapiantata in Europa con tutte le conseguenze del caso. Quanto ai ragazzi africani,  probabilmente c’è di tutto, belli perché ben cresciuti e belli perché sopravvissuti alla mortalità infantile. Quelli hanno poco da aspettarsi a meno che non ci pensi il papa. Che è simpatico anche a me, ma sempre papa è, intendiamoci. Prendi il caso dell’aborto. Te lo dice in modo simpatico: quel che è stato è stato, ma adesso, ragazzi, niente più aborto, intesi?

 

A: L’ideale sarebbe creare le condizioni perché quella gente possa tornare quanto prima nei loro paesi. E questa la vedo dura. Il papa mi convincerà veramente quando farà il gesto opposto di Wojtyla. Questi si affacciò dalla Moneda in compagnia di Pinochet, di fatto benedicendo l’assassinio di Allende. Francesco si dovrebbe affacciare dalla Casa Rosada, in Plaza de Mayo, in omaggio ai desaparecidos argentini.

Il filosofo sballottato

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Parlando in occasione del 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù, Papa Bergoglio SJ ha affermato che «la nave della Compagnia di Gesù è stata sballottata dalle onde. Anche la barca di Pietro lo può essere oggi. La notte e il potere delle tenebre sono sempre vicini. Per cui remiamo a servizio della Chiesa. Tutti remiamo, anche il Papa rema nella barca di Pietro e dobbiamo pregare tanto il Signore di salvarci»1. “Straparlando” con Antonio Gnoli su “la Repubblica” di ieri, 28 settembre 2014, Mario Tronti, all’intervistatore che gli osservava come, negli anni, fosse passato dall’operaismo a Machiavelli e Hobbes e ora alla teologia politica, ai profeti, e addirittura a Paolo di Tarso, ha risposto: «Se me lo avessero pronosticato trent’anni fa non ci avrei creduto. Però, vede, Paolo è stato il grande politico del cristianesimo. Nelle sue Lettere c’è il Che fare? di Lenin. Guardo molto alla dimensione cattolica, al suo aspetto istituzionale. C’è forza e lunga durata»2. Nella stessa intervista, ma un po’ da sempre negli ultimi decenni, da quando cioè i suoi mitologici operai lo hanno deluso, Tronti fa professione di “realismo politico”, e dopo tanto studiare Machiavelli e Hobbes, ci si aspetterebbe, appunto, uno sguardo “realistico” anche sulla Chiesa cattolica, nella quale, come si è visto, vede invece «forza e lunga durata». Una visione che Papa Francesco, forse perchè alle pagine dei “realisti” ha preferito i film neorealisti, non sembra proprio condividere, se parla della Chiesa come di una “nave sballottata”. Solo che il Papa non è offuscato dal mal di mare, mentre Tronti, che si è seduto in fondo alla Chiesa, sbirciando la messa, sembra in preda ai sintomi di chi, sballottato dalle onde, scambia le proprie allucinazioni con la luce salvifica di un faro inesistente.

  1. “la Repubblica”, 28.9.2014, p. 18 []
  2. “la Repubblica”, 28.9.2014, p. 53 []

Il giudice e il papa

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Nessuno è andato a vedere il colore dei calzini del giudice Thomas Griesa, perché Eugenio Scalfari queste cose non le fa, ma la sua ordinanza che, dall’alto della corte federale di New York, ha ingiunto allo stato sovrano dell’Argentina di corrispondere ai fondi speculativi il rimborso integrale dei bond spazzatura, acquistati a prezzo vile all’epoca del default del paese sudamericano, costituisce un chiaro avvertimento per l’intimo amico del fondatore di “Repubblica”, ovvero Jorge Antonio Bergoglio, il papa venuto dalla “fine del mondo”. Costui, infatti, si azzarda a stigmatizzare con insistenza “il sistema economico che sfrutta l’uomo”, e allora, affinché non sussistano equivoci, il giudice Griesa, con il sicuro istinto che gli deriva dalla sua calvinistica etica della convinzione”, gli ha ricordato cosa può fare ancora di buono questo “sistema” per la patria di papa Francesco, un ulteriore default, questa volta solo “tecnico”, come ci spiegano gli economisti bennati, ma sufficiente a ribadire la lezione a questa nazione che, dopo la “purga” dei generali, negli anni Settanta, e la “rivoluzione culturale” di Menem, negli anni Novanta, si ostina ancora a perseguire la propria riottosa essenza, fornendo addirittura al soglio di Pietro un suo così molesto esponente. A questo punto, non si capisce perché il gesuita argentino, ma forse si capisce perché è un prudente gesuita oltreché un solare argentino, tarda ancora a recarsi a Plaza de Mayo, ad intimare il suo “Pentitevi”, dal balcone del Palazzo del Governo, agli assassini dei trentamila desaparecidos argentini, sacrificati sull’altare di uno dei primissimi interventi “normalizzatori”, all’origine di quest’epoca di assolutismo capitalistico in cui siamo immersi. Dopotutto, molti di quei filantropi, a cominciare da Kissinger, il padrino di Pinochet, antesignano dei generali argentini, sono ancora in vita, e sarebbe un bello spettacolo vedere la loro faccia ad essere segnati a dito da una mano pontificale. O debbono pentirsi solo i mafiosi?

Papa Gorbaciov

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Si direbbe che il pesce ha abboccato all’amo. Ma si potrebbe anche dire che, il pesce, non aspettava altro che di abboccare. Questo viene da osservare, assistendo al “dialogo” andato in scena, nei giorni scorsi, su la Repubblica tra un Eugenio Scalfari sempre più sussiegosamente “illuminista”, e un Papa Francesco sempre più arditamente “riformatore”. Il riformismo di Francesco, naturalmente, non ha niente a che fare con quello di cui tutti si riempiono la bocca da un ventennio a questa parte, in Italia, ma richiama da vicino invece la perestrojka di Gorbaciov. Bergoglio è succeduto ad un cupo ideologo, Ratzinger, una specie di Suslov dimessosi, anzi, autodecapitatosi perché offeso dall’insensibilità delle moltitudini ai suoi predicozzi sofistici, e Francesco, da buon gesuita sudamericano, ha tratto lezione da questo evento: il mondo resiste e la nave affonda, bisogna buttar giù la zavorra. A Scalfari, perciò, che gli chiedeva, con la tipica malizia del “laico tollerante”, se Dio perdona anche i peccati di chi non crede, Francesco ha rispoto che chi agisce in conformità con la propria coscienza, non fa peccato. Le giulebbe di Scalfari! Ha fatto stampare subito un decreto con tanto di sigillo di ceralacca, e lo ha proclamato a tutte le genti: la Chiesa è finalmente entrata nella modernità. Placate le ubbie delle élites, solleticandone la vanità con il riconoscimento dell’“autonomia della coscienza”, Francesco poi s’è messo a fare cose di maggior sostanza, come proclamare un digiuno contro l’ennesima voglia di menar le mani degli Stati Uniti, questa volta contro la Siria, andare a visitare in utilitaria un centro immigrati, telefonare dall’altra parte del mondo alla vittima di uno stupro, e questo dopo aver incendiato, lui argentino, le masse brasiliane, e aver rivendicato da Lampedusa il nostro essere tutti migranti. Insomma, mentre Ratzinger predicava il suo libresco anticapitalismo nei chiusi consensi ai cardinali, i quali, appena fuori, si sfrenavano nelle più accese combinazioni di sesso, denaro e potere, Francesco lo pratica con tutta la potenza che può avere un disperato, cui ormai resta solo poco tempo, prima di soccombere sotto le macerie della magnifica ma fatiscente istituzione che governa. Qui la sua perestrojka si rivela con il segno opposto a quella di Gorby. Infatti, il segretario generale con la voglia in fronte buttava nella fornace palate e palate di ideologia, e mentre invocava il “ritorno a Lenin”, e si illudeva di edificare una “federazione democratica”, apriva di fatto la strada a quel capitalismo assoluto che l’avrebbe sbalzato di sella, preferendogli il più rustico Eltsin. Francesco deve fare esattamente il contrario. Se egli vuole salvare la nave che affonda, deve combinare la profondità del sentimento di giustizia con la logica strumentale del piacere. È qui che egli potrà ritrovare il contatto con le masse, e far fronte contemporaneamente al temibile ritorno della religione sessuale. Il suo anticapitalismo, la sua critica all’alienazione della vita contemoporanea, in tutte le sue forme, non è dunque un vezzo intellettuale, al pari delle scarpette rosse di Ratzinger, ma è una dura necessità cui è costretto dalla composita natura della Chiesa cattolica. La giustizia non è un suo libero, moderno, illuministico moto della coscienza, ma è la sola zattera cui può aggrapparsi, per non sprofondare nella logica senza volto del piacere che si esprime nel consumo illimitato delle cose e dei corpi. Non è fantascienza, allora, pensare che così come il grande Wojtyla fu costretto all’abiezione dell’apparizione in compagnia di Pinochet dal balcone della Moneda, così pure Bergoglio sarà costretto, un giorno non lontano, a riunirsi alle madri dei desaparecidos di Plaza de Mayo.