Berlusconi

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La figlia maggiore di Berlusconi lamenta che il padre anche da morto venga infangato e diffamato con notizie e indagini che da tempo si sono dimostrate essere più teoremi che fatti provati. Sulle indagini dei magistrati inquirenti c’è stato, c’è e ci sarà il vaglio dei collegi giudicanti nel cui merito non entriamo. Quanto al resto, si spera che non diventi obbligatorio il servo encomio e che sia possibile esprimere un libero giudizio su un uomo che con tanta pertinacia per tanto tempo ha voluto essere presente nella vita quotidiana di un intero paese e oltre. E, dunque, anzitutto Berlusconi è stato un capitalista monopolista nel significato esatto del termine, cioè un capitalista che tramite la leva della pubblicità si è inserito come una discreta potenza nel livello più “astratto” del capitalismo, quello finanziario. Quale sia stata la sua personale “accumulazione originaria” che gli ha consentito di raggiungere questo obiettivo è oggetto di controversie, ma bisogna considerare che in qualsiasi “accumulazione originaria” capitalistica vi sono sempre due elementi, il privilegio e il banditismo. Il privilegio di cui ha goduto Berlusconi sono stati i decreti di Craxi a salvaguardia delle sue televisioni, volano indispensabile dello sfruttamento pubblicitario. Sul resto, non ci pronunciamo. Berlusconi è stato poi un imprenditore dell’egemonia. Con le sue televisioni, infatti, ha creato un pubblico che con la “discesa in campo” ha trasformato in elettorato. Egli ha così applicato diligentemente la parte più facile della lezione gramsciana, quella secondo la quale, se si vuole conquistare il potere politico, bisogna prima essere dirigenti e poi dominanti. Il resto della lezione gramsciana, quella più impegnativa, l’ha lasciata volentieri a una sinistra in disarmo che aveva finito con il confondere l’egemonia con l’egemonia degli intellettuali. Berlusconi è stato poi un uomo politico che per far largo a un capitalismo monopolistico di cui era il maggior esponente ha messo a soqquadro un attardato Stato di diritto. Egli ha portato avanti questa azione eversiva inveendo contro il pericolo comunista, ma il vero obiettivo erano le fazioni borghesi avverse che, in nome di una ideologia liberale così astratta da poter essere rivendicata dallo stesso Berlusconi, reclamavano le guarentigie costituzionali per arginarne la prorompente carica competitiva. Si trattava dunque di uno scontro intercapitalistico in cui le classi popolari che ambivano sempre più flebilmente a riscattarsi politicamente erano uno schermo illusorio su cui proiettare una paranoia di comodo. La vera battaglia anticomunista Berlusconi l’ha combattuta nella sua ulteriore veste di uomo di raccordo dello Stato occulto in cui si ritrovavano, ora in concordia ora in discordia, ora alla luce del sole ora negli oscuri palazzi, legittimità atlantiste, neofascismo più o meno rispettabile, settori reazionari del potere ecclesiastico, massoneria, mafia anche nelle sue velleità separatiste specchio di quelle del Nord, tutti distaccamenti di un unico esercito votato a mantenere l’Italia saldamente ancorata alla potenza americana. Le indagini su cui insistono le procure hanno questo mondo come sfondo che, essendo ancora al potere, ha tutti gli strumenti per rendere “incredibili” e “indicibili” determinate verità la cui evidenza però in alcuni casi è accecante. Quale punto di riferimento di questo mondo, che è poi l’infrastruttura nel quadrante italiano dell’Occidente imperialista, Berlusconi ha potuto proporsi come uomo di pace in grado di mettere d’accordo a Pratica di Mare l’America di Bush Jr., trionfante benché assetata di vendetta per le Torri gemelle, con la Russia col cappello in mano del primo Putin, ma porta anche la responsabilità politica della repressione poliziesca del G8 di Genova del luglio 2001, abilmente scaricata su Gianfranco Fini che per altro non l’ha mai rifiutata, e della liquidazione sommaria di Gheddafi, per la verità non scelta ma subita come imposizione, tramite il presidente Giorgio Napolitano, del suo caro nemico Barack Obama di cui dileggiava l’abbronzatura. Berlusconi insomma è stato un fedele pretoriano dell’imperialismo occidentale di cui però ultimamente non capiva le dinamiche, tanto è vero che non si rassegnava a ripudiare la (Hillary Clinton sospettava lucrosa) amicizia con Putin, un altro giunto al potere sull’onda di una fra le più rapinose “accumulazioni originarie” della storia, quella ad opera di un pugno di avventurieri impadronitisi delle immense ricchezze del popolo sovietico, lasciato indifeso dalla insulsaggine dei suoi ultimi dirigenti.  Berlusconi, infine, è stato l’artefice della diffusione in Italia del capitalismo come “forma di vita”, adattandolo alla temperie spirituale di un paese avido e sessualmente represso. Con una organicità ignota alla sonnacchiosa ed elefantiaca televisione di Stato, dagli anni Ottanta in poi il d*naro e la f*ca sono stati i simboli cui alludeva lo sguardo pecoreccio di tutte le trasmissioni delle sue televisioni ma anche della sua stessa vita. Egli infatti è stato l’autore del copione e l’interprete di questa forma di vita sino ai titoli di coda, celebrati enfaticamente da un mondo che negli ultimi tempi aveva cominciato a mal sopportarlo. Per tutti questi importanti aspetti, Berlusconi è stato dunque l’uomo di un’intera epoca che, quando i libri di storia potranno essere scritti senza la costrizione del vecchio pensiero ancora in auge, sarà probabilmente ricordata come fra le più spregevoli di questo capitalismo morente.