L’auto senza pilota. Gradualmente.

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Si sa, “la Repubblica”, per bocca del suo fondatore, teorizza la compenetrazione di fatti e opinioni: dare tutte le notizie, ma colorate con la vernice che apertamente piace a noi. Così, quando l’articolista scrive: «Oggi è una frase da ricchi: “Manda l’auto a prendermi in azienda”. Domani potrebbe essere una frase di tutti»1, il lettore ancora prima di leggerla deve condividere che domani tutti lavoreranno in azienda, o comunque che tutti quelli che lavoreranno in azienda potranno farsi venire a prendere dall’auto. Associato a questa community ideologica dalla vasta estensione transnazionale, il contenuto dell’articolo è ripreso infatti dal meglio dell’informazione anglosassone, il lettore potrà allora immergersi nello scenario di vita quotidiana che il giornalista, come da manuale, gli prospetta: «Luisa si sveglia alle sette fa colazione, sale in auto e si fa trasportare in ufficio mentre consulta il tablet. Non ha bisogno di parcheggiare. L’auto torna immediatamente a casa da sola. L’attendono il marito di Luisa, Michele, e il piccolo Luigi. Il figlio saluta il padre, sale in auto e va a scuola. Durante il tragitto ripassa la lezione. Quando Luigi scende, l’auto torna a casa. Sale Michele che va a fare commissioni. Questo è il periodo della giornata in cui l’auto senza guidatore viene utilizzata in modo quasi tradizionale. E’ chiaro che mentre si sposta da una destinazione all’altra Michele può leggere e sbrigare faccende senza preoccuparsi del percorso e dei semafori. Ma l’auto si sposta sempre con lui fino a quando torna a casa, all’ora di pranzo. Mentre il padre prepara da mangiare l’instancabile automobile torna da sola a scuola a prendere Luigi e riportarlo a casa. In serata sarà ancora l’automobile vuota ad andare in azienda, prelevare Luisa e riconsegnarla sotto il suo appartamento». Fantastico! E che scenario politicamente corretto, per il lettore medio che il giornale in questione forgia giorno per giorno! È Luisa che va in ufficio, mentre il padre è un casalingo, magari con un lavoro da casa. E Michele e Luisa hanno un solo figlio. Maschio. Perfetto. È il mondo di oggi, così come la pubblicità odierna vorrebbe che fosse, ma proiettato nel domani, quando ci sarà l’auto senza pilota. L’auto senza pilota che quei demiurghi di Google stanno ideando per noi. Un mondo dove tutti sono ricchi, ma con una tale levità da poter farsi venire a prendere tutti dalla macchina a fine giornata in ufficio. Un mondo in pace con l’uguaglianza, l’ecologia e l’economia. Infatti, spiega fervorosamente l’articolista, l’auto senza pilota applica alla perfezione una delle regole di base dell’economia: «il capitale investito deve essere utilizzato il più possibile per essere ammortizzato in fretta. Lasciare un’auto parcheggiata otto ore sotto l’ufficio è uno spreco di capitale. Non solo e non tanto perché si paga la tariffa del parcheggio ma perché acquistando un’auto si spendono decine di migliaia di euro per comperare l’opportunità di spostarsi e non ha senso economico sfruttarla solo due volte al giorno». Non fa una grinza. Basta entrare nell’ordine di idee che spostarsi equivale a spostarsi con l’auto privata. È un altro effettucio ideologico che fa parte del contratto “niente fatti scissi dalle opinioni”, ma stiamo parlando della mobilità automatizzata di domani. Vogliamo metterci a fare i tignosi di fronte a questo radioso mondo firmato Larry Page? La mobilità automatizzata, cioè l’auto privata con il pilota automatico, non è uno scherzo. Si è mossa Barclays a studiare il progetto, dal cui rapporto provengono le informazioni apertamente partigiane che il bravo articolista sta bravamente contribuendo a diffondere. E quando si muove una banca, vuol dire che presto il sogno sarà incubo, cioè realtà. Barclays ha calcolato l’effetto che l’auto senza pilota avrà sulla produzione di automobili. Pare che dei 33 stabilimenti americani GM e Ford, ne resteranno 17. Sarà una bella lotta (intercapitalistica, se si può dire) tra gli inopinati giganti sbucati dal web e i dinosaursi delle automobili tradizionali. E di Luisa e Michele, e del loro figlio Luigi, che ne sarà? Quel desiderio di ricchezza media levitante sulle ruote leggere di un’auto senza pilota si realizzerà? Dipende. Come spiega l’infervorato articolista, «gli analisti prevedono che il cambiamento sarà graduale. Inizierà prima nelle grandi città e solo successivamente arriverà nelle campagne. Ma sarà inevitabile. Soprattutto se nei grandi centri urbani la mobilità automatica sarà incentivata da permessi di accesso non coinsentiti alle auto tradizionali». Ma poter farsi venire a prendere dall’auto senza pilota non doveva essere alla portata di tutti? Gradualmente. Peppino, Ignazia e Alfiuccio, che coltivano patate e mungono caprette in un agro lontano dalla città à la Page, dovranno aspettare un pochino, diciamo qualche generazione, e se vorranno venire in città con la loro fetida automobile tradizionale, dovranno lasciarla in un malfamato parcheggio a ore, e pagare una bella tassa di accesso. Uffa, va bene, le diseguaglianze, ma anche i ricchi piangeranno. Infatti, quelli con la passione rétro di far rombare i motori a colpi di accelleratore, saranno costretti a sgasare lontano dalla città perfetta, magari in quell’agro lontano dove Peppino, Ignazia e Alfiuccio buttano sangue tutto il giorno. È la «sconvolgente rivoluzione della mobilità», come la descrive neutralmente Barclays nel suo rapporto, che abbassa le vecchie élite e dà un’altra illusione ai poveri. Capitalismo assoluto? Ma no, solo scienza e tecnica, quelle “potenze” che filosofi sconsiderati chiamano spregiativamente Gestell, e che invece, messe a profitto da apostoli visionari come Larry Page e compagnia, operano incessantemente per elargire i loro doni all’umanità. Gradualmente.

  1. P. Griseri, L’auto senza pilota. Ne basterà una sola per tutta la famiglia e circolerà il doppio, ‘la Repubblica”, 17.1.2016, p. 21. []