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Grillo, la Cina e Internet

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In un’intervista a Die Zeit, uscita ieri anche su la Repubblica, il futuro Capo della Terza repubblica italiana nata dalla Ret-istenza,dice: «Quello che fa paura a tanti è l’effetto che avrebbe sull’Europa e il resto del mondo il nostro modello di governo. Ho parlato con l’ambasciatore giapponese, francese, e addirittura con l’ambasciatore cinese. È venuto a trovarmi due volte: la prima due ore, la seconda tre. Dalle nostre conversazioni ha tratto questo sunto: in Italia sta succedendo qualcosa di insolito, un movimento dal basso, senza soldi, usa la rete e stravolge la politica italiana e forse anche quella internazionale. Questo movimento preoccupa moltissimo noi cinesi perché potrebbe destabilizzare anche il nostro sistema. Questo ha scritto. Ed è logico che sia preoccupato». In effetti, i cinesi non si stannno limitando a studiare, ma stanno mettendo in pratica vari accorgimenti per evitare che un Grillo con gli occhi a mandorla si materializzi dalle loro parti. Sempre ieri, su il manifesto, in un’oggettiva cronaca da Pechino di Simone Pieranni, si poteva leggere che, secondo le nuove norme, l’autore di un post ritenuto una diceria falsa, che viene visto da 5mila utenti internet o ripubblicato più di 500 volte, rischia fino a tre anni di carcere. Ci si aspetterebbe la rivolta. Invece, Charles Xue, paladino del vessato popolo cinese e star di Internet con 12 milioni di followers, arrestato con un’accusa – guarda un po’ – legata alla prostituzione, è apparso in tv, ammanettato e pronto a confessare i propri errori: «mi sono sentito come un imperatore», ha ammesso. Pan Shiyi, altra webstar cinese, noto per le sue campagne contro l’inquinamento, anche se è uno dei più importanti e ricchi palazzinari cinesi, è apparso impacciato e nervoso, anch’egli in tv, per celebrare le nuove norme contro le «false informazioni» on line. Che s’ha da fa’, pe’ campa’, qualcuno potrebbe dire. Ma Mo Yan, premio Nobel della letteratura, non è affatto scandalizzato da questo giro di vite, e ritiene anzi che la «censura ha stimolato gli scrittori». Va be’, l’opportunismo di MoYan è risaputo. Ma, conclude il nostro onesto cronista, «il suo argomento è comune in Cina, perché non sono pochi gli artisti e gli intellettuali che leggono le misure repressive come uno stimolo alla creatività». E adesso, ce la immaginiamo la faccia di Grillo che, mogio mogio, ammette in tv di essersi sentito un imperatore? Fantascienza. Perché, piaccia o meno, il punto è questo, che in Cina il controllo politico di Internet suscita una sua quota di consenso. Da un lato, non c’è quella “dittatura della maggioranza”, come la chiama Carlo Freccero, ovvero la “dittatura” della cosiddetta “società civile”, che in Italia ha portato prima a Berlusconi, con la tv, e poi, sebbene ancora non pienamente, a Grillo, con la rete; dall’altro, il potere non è così screditato e impotente da limitarsi alle vacue sfide à la Fassino, «Grillo si faccia un partito, e poi vediamo quanti voti prende». La questione bisogna vederla alla luce (gramsciana) della reciprocità tra governanti e governati. In Cina è minima, c’è molto paternalismo, ma il padre-partito non è un vecchio trombone da mandare affanculo nelle manifestazioni convocate alla bisogna da Beppe Grillo. In Italia, è anch’essa minima, ma la classe politica è completamente smidollata, perché da almeno vent’anni, dal punto di vista formale, ma da almeno trenta, dal punto di vista culturale, ha consentito di essere infiltrata da una “società civile” che, di fatto, esercita il potere, ma per scopi del tutto privati o comunque particolari. È vero, con i suoi proclami sulla democrazia diretta, la consutazione permanente della base, la mobilitazione in rete del popolo, l’incorruttibilità, e quant’altro, Grillo si atteggia a restauratore del governo di tutti per tutti. Insomma, sarebbe venuto in terra a reciprocità instaurare – finalmente! Ma questo miracolo che, con il più vieto machiavellismo, si dovrebbe compiere tenendosi il porcellum per abolirlo un minuto dopo, ha il naso lungo quanto i capelli di Casaleggio, un tenebroso Richelieu della Bovisa che, mentre manda flautati segnali a tutti quelli che contano dentro e fuori la Penisola, minaccia continuamente di andarsene se non si fa come dice lui. E non li vediamo alla tv, gli occhi sbarrati dei cittadini-onorevoli del Movimento 5 Stelle, atterriti dall’idea di essere profligati sul suo blog dal padre-padrone, qualora dovessero sbagliare a parlare anche di una sola sillaba? E, allora, siamo onesti, Internet in Italia non potrà dar luogo a nessuna reciprocità tra governanti e governati, ma sta solo conducendo, se solo lo si voglia vedere, ad un autoritarismo ancora più tetragono di quello berlusconiano, dove non ci sarà più neanche la distrazione del burlesque. Mentre in Cina, questo è il paradosso, ma la dialettica della vita se ne infischia dei paradossi, la forza dell’attuale classe politica, se da un lato nell’immediato reprime il libertarismo della rete, dietro cui, non dimentichiamolo, occhieggiano le forze orgogliosamente “capitalistiche” di Google, Facebook, Twitter e via smanettando, dall’altro, lascia intatte le possibilità che si arrivi, penando e soffrendo, certo, come sta penando e soffrendo Liu Xiaobo, ad una effettiva reciprocità.