La moneta e la potenza. Habermas, la Germania, l’Europa

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Con i diari di Mussolini bisogna andarci cauti, ma pare che, in una sua agenda del 1942 recentemente rinvenuta, alla data del 29 aprile, annotasse quanto segue circa il suo incontro a Salisburgo, con il suo alleato Adolf Hitler: «Lo trovo emaciato e stanco. All’arrivo egli è nel gruppo coi suoi: Ribbentrop Dietrich Borman il ‘Gauleiter’ dott. Scheck tutti visi duri arcigni bocche acide, aspetto ferrigno, odiosi!»1. In un suo commento alla sentenza della corte di Giustizia dell’Unione europea, che martedì 16 giugno ha dichiarato “compatibile con le norme comunitarie” il programma di acquisto di titoli di Stato a breve termine dei paesi dell’Eurozona in crisi da parte della Banca centrale europea, Jürgen Habermas, riferendosi alle politiche di austerità imposte dalla Germanaia al Continente, e in particolare alla Grecia, scrive: «Per le sue opinabili misure di salvataggio Angela Merkel ha coinvolto fin dall’inizio l’Fmi. Questa dissoluzione della politica nel conformismo di mercato spiega tra l’altro l’arroganza con cui i rappresentanti del governo federale tedesco – persone moralmente ineccepibili, senza eccezione alcuna – rifiutano di ammettere la propria corresponsabilità politica per le devastanti conseguenze sociali che pure hanno messo in conto nell’attuazione del programma neoliberista. Lo scandalo nello scandalo è l’ingenerosità con cui il governo tedesco interpreta il proprio ruolo di guida»2. Dunque, settant’anni dopo Salisburgo, sull’Europa sta di nuovo soffiando il vento acido dell’arroganza, per quanto promanante dalle bocche di persone moralmente ineccepibili. Quel che colpisce, però, è l’ingenuità di Habermas, rappresentativa di tutta una bennata opinione pubblica europea, quando reitera per l’ennesima volta il vaticinio secondo il quale «l’unione monetaria resterà instabile finché non sarà integrata da un’unione bancaria, economica e fiscale»3. Dovrebbe essere ormai chiaro, infatti, che l’unione monetaria non è l’inizio, ma la stazione finale. Solo dei velleitari possono pensare che essa è il germe di uno Stato federale europeo fondato sui bei principi della solidarietà, fratellanza e reciprocità. A questi sogni a occhi aperti, la Germania risponderà sempre rifiutandosi di fare il mulo d’Europa: fate i compiti a casa, dirà sempre con espressione ferrigna, ovvero se volete stare con noi, il gioco lo conduciamo a modo nostro, in conformità con la nostra potenza e promuovendo tutte le condizioni che possano salvaguardarla e svilupparla. Inoltre, questi velleitari edulcorano anche bellamente la storia. Indicando all’Europa l’esempio dell’America, pensano infatti al federalismo americano come all’idillio di Washington, che invece era solo una placida confederazione, e occultano il fatto che lo Stato federale statunitense è nato effettivamente con la guerra civile, dando luogo all’imperialismo più militarista di ogni tempo. È questo che essi vogliono? Ovviamente no, poiché sono per un’Europa di pace. Nel frattempo che si pascono di simili vaghezze, le cose vanno avanti per conto proprio, seguendo i tradizionali rapporti di forza europei, riemersi dalla polvere dell’immane crollo delle “ideologie”. Tutti hanno bisogno della forza della Germania, ma poiché come abbiamo detto questa si rifiuta di tirare a beneficio altrui il carretto delle belle illusioni, tutti finiscono per competere con essa, a colpi di versamenti finanziari nel Fondo salva Stati e altri budget comunitari. La potenza finanziaria prende il posto dei vecchi arsenali, e nell’involucro ottundente della democrazia si arriva al rovesciamento di un Reich di fatto, che ai visi arcigni dell’hitlerismo sostituisce quelli malmostosi dei governanti “democratici”, riluttanti ad assumere la leadership che tutti loro offrono, a patto che non comandino. Insomma, una drôle d’Europe, che potrebbe salvarsi se tornasse a lottare universalmente per le proprie particolarità, senza farsi intimorire da una “globalizzazione” che sembra invincibile, ma che ha i piedi d’argilla, retta com’è da un modo di produzione che, come mostrano i sempre più frenetici e impotenti consulti dei “grandi”, è ormai in avanzato stato di incompatibilità ambientale.

  1. “Il Fatto Quotidiano”, 26.6.2015, p. 17 []
  2. “la Repubblica”, 23.6.2015, p. 4 []
  3. “la Repubblica”, 23.6.2015, p. 4 []